LUCA CHITI: COSTRUTTORE DI VERSI TRA DANTE E HARRY POTTER Introduzione di Paolo Albani Capri 2000. Da sinistra: Lori Chiti, Luca Chiti, Maria Sebregondi, Raffaele Aragona e Anna Busetto Vicari. «Luca Chiti è nato nel 1943 a Livorno dove è sempre vissuto e ha insegnato». Di certo un incipit così asettico per una nota sulle sue estrose attività letterarie non gli sarebbe piaciuto, ma in verità così inizia una nota biografica che lo stesso Chiti mi inviò a suo tempo, esattamente il 9 novembre 1998, per una collaborazione a Tèchne, inserita in un dischetto che conteneva un estratto dei suoi Paraparalipomeni (si spegne, sempre a Livorno, nel 2003, ma questo Luca, allora, non poteva saperlo). Dunque
mi scuso quel tanto che basta, e proseguo. Laureatosi in Letteratura italiana
moderna e contemporanea a Pisa, Chiti si occupa delle avanguardie del primo
Novecento con particolare interesse per le riviste fiorentine, pubblicando
articoli su «Filologia e letteratura»
e curando per l'Editore Loescher il volume di Pasquale Villari, Le lettere meridionali ed altri scritti
sulla questione sociale in Italia (1971) e Cultura e
politica nelle riviste fiorentine del primo Novecento, 1903-1915 (1972).
Riferimenti all’Infinito futuro e al Centunesimo canto compaiono, alcune
volte solo in nota, in vari testi (libri, riviste, tesi di laurea come quella
di Giulia Massignan intitolata: Oplepo:
scrittura à contrainte e letteratura potenziale, discussa nel 2011 all’Università
Ca’ Foscari di Venezia) dedicati alla letteratura potenziale. Altri
testi oplepiani di Chiti sono: «Elogio dell’Operosa
pastorelleria legata, elegantemente poco ortodossa» in Esercizi di stime. Acronimi elogiativi (Biblioteca Oplepiana, n°
17, 2000, pp. 27-29) e «Quartine per Axel Munthe» (in Capri à contrainte, a cura di Raffaele Aragona, Edizioni La
Conchiglia, Capri, 2000, pp. 35-36). Ci sono altri testi, tuttora inediti, che meritano di essere citati illustrando a piccoli sprazzi il lavoro letterario di Chiti. Il primo è un lungo «romanzo in ottave» (XL Canti diluiti in 206 pagine dattiloscritte) intitolato I Paraparalipomeni (Ovvero i Paralipomeni dei Paralipomeni della Batracomiomachia nuovamente ritrovati e tradotti), ulteriore continuazione dei Paralipomeni della Batracomiomachia, poemetto eroicomico in ottave di Leopardi, autore molto amato da Luca. Ne pubblicai un piccolo estratto (il Canto III) su un vecchio numero di Tèchne (9/10/11, 2001, pp. 68-81). Chiti si cimenta di nuovo nel romanzo in versi in un altro testo intitolato I nove pellegrini, in tutto dodici canti, senza data di composizione. Nell’esergo ci sono tre citazioni: una di Poe, una di Sterne e l’ultima, da Herzog di Bellow, che dice: «Se sono matto, per me va benissimo». Il «romanzo», i cui personaggi sono un vecchio savio, un pellegrino deluso, una giovinetta sognante, una donna silente, un bizzarro, un viandante, un tale indicato come «guancia chiosata», è costellato di ballate, dissertazioni, elegie. Dopo l’indice, per ogni canto, sono riportati gli schemi metrici. Infine c’è l’altra grande passione letteraria di Chiti, e cioè Giovanni Pascoli. Nel giugno 2002 Chiti finisce la stesura dei Canti di Castellaccio, un testo miracolosamente ritrovato di Giovanni Pascoli, ovvero 37 poesie riscritte da Chiti usando l’arte illusionistica del centone, di cui lui è un maestro, come testimonia il suo Centunesimo canto. Nelle Appendici al testo pascoliano, Chiti riporta, fra le altre cose, le corrispondenze tra i Canti di Castellaccio e il corpo della poesia di Pascoli. Delle poesie dei Canti di Castellaccio ho pubblicate le prime dieci su Tèchne (15, 2005, pp. 38-56). Sempre nel giugno 2002 Chiti mi manda Pascolando (Rimario pascoliano), un impegnativo lavoro, ancora inedito, comprendente tutta la produzione in versi di Giovanni Pascoli secondo l’edizione delle Poesie di Giovanni Pascoli (sez. I e II, a cura di Augusto Vicinelli, Mondadori, Milano, 1958, 2 voll., pp. XXX-1866, con la naturale esclusione della parte relativa alle «Traduzioni e riduzioni»). Ultimo testo in versi che ho ritrovato è Il Titano, senza alcuna indicazione di data né di altra natura letteraria, dove Chiti affronta il tema del «destino di morte». |