Luca Chiti
I NOVE PELLEGRINI «Ogni. creazione fantastica dovrebbe avere una
morale; e, ciò che torna maggiormente a proposito, i critici hanno scoperto che
ogni creazione ha veramente una morale [_.]. In tal modo, agli autori in genere,
si risparmia un gran disturbo: un novelliere, per esempio, non ha bisogno di curarsi affatto della sua
morale; essa c'è - ossia in qualche punto esiste - e la morale e i critici
possono dormir tranquilli: tutto ciò che il signore intendeva e tutto ciò che
non intendeva dire sarà rivelato dal 'Dial' o nel 'Down-Easter’, insieme con
tutto ciò ch'egli avrebbe dovuto intender di dire, e il resto che
manifestamente voleva intender di dire, - cosicché tutto alfine salterà agli
occhi di tutti». (A. E. Poe, Non scommettete la testa col
diavolo) «Perché il mio dadà [ ... ] non è affatto una
bestia maligna [...]. È la gioiosa piccola mania che vi svaga per l'ora che
passa - un grillo, una farfalla, un quadro, un arco di violino; oppure un
assedio come quelli dello zio Tobia, o qualunque altra cosa che un uomo trova
modo di inforcare per distaccarsi trotterellando dalle ansie e sollecitudini
della vita». (L. Sterne, La vita e le opinioni di Tristram
Shandy gentiluomo) «Se sono matto, per me va benissimo». (S. Bellow, Herzog) I. Sotto il ciel pienamente circulato d'una notte di stelle adamantina, chiara, sciando con corso inclinato, a mezza estate sul mondo è caduta una pietra di luna, una cometa, la particola interna d'un pianeta. Velocemente in basso proceduta, del concavo emisperio per la china precipitando nella sua venuta, quella mole s'è infranta, senza suono, nel vuoto seno di quella lacuna a mezzo l'arco levato alla luna. Dal vertice supremo di quel cono la massa proveniente dall'oscuro è sbocciata nel cielo come un dono, come un fior bianco di stella perduta. Sta sospesa la terra a quel portento nell'immobile notte senza vento. Una ragna d'argento mai veduta, posandosi lontan sul cerchio estremo, ha diffuso i suoi raggi muta muta dall'imo seno del silenzio fioco, con tracce lievi di ratti frammenti nel turchino del cielo evanescenti. Poi, molto dolcemente, a poco a poco, sotto il lucor della luna fatata, tutto all'intorno, quel celeste foco, candido lembo di splendor nebbioso, impercettibilmente s'è ammorzato dalla lucente tenebra abbracciato. Dalla fame di scienza dentro roso, mentre osservava a notte fonda il cielo, un saggio vide, dal ricetto ascoso, il bolide cadere sopra il mondo: tremò fin nei precordi d'emozione di fronte all'insperabile visione. Ricolmo d’allegrezza nel profondo, a misurar si diede la distanza dei frammenti caduti a tondo a tondo. Tremendo molto sul foglio la mano, al lume di candela calcolava mentre la mente fervida volava. Un pellegrin, di là poco lontano, ch'in triste veglia la notte varcava fuggendo da un amore speso invano, mesto le tracce di luce osservando, le sue pupille tenebrose fisse volgendo al ciel, languidamente disse: «Sotto le stelle il mio dolore spando in questa notte candida di luna, mentre lumache abnormi van crepando l'ampia volta del cielo costellato con corrosion di bava luminosa come l'amore d'infedele sposa». Il cerchio della luna maculato con attenzione un bizzarro guardava nell'ora in cui sgorgò dal cielo lato la luminosa fonte efflorescente. Cercava in mezzo a quelle cose belle la faccia di chi cuoce le frittelle. Con gli occhi vuoti, a lungo, lentamente, stette sdraiato di stupore pieno, al fenomeno arcan ponendo mente; poi si sedette illuminato, e disse: «Sono di certo magiche focacce cadute di Cain dalle bisacce». «Oh, se un giorno, da lunge, si partisse giovane cavaliere damascato e cercando pel mondo se ne gisse una fanciulla di fedele cuore! Stelle del cielo, un sospiro vi mando: deh! che si fermi, presso a me passando!» Mandava al cielo questo dolce errore d'antica fiaba nel cuore educata, giovinetta sognante, nel tepore del grande cerchio della notte estiva: gentile il ciel, dagli ampi spazi neri, precipitò lucenti cavalieri. Ma un'altra che il corredo rifiniva al lieve tremolio d'una candela, pensava all'uomo che la concupiva assoluto signor del suo destino: opache ormai, siccome stelle nere, galleggiavano in ciel le sue chimere. Guardando in alto, verso l'abbaino, vide la stella esplodere nel buio. Allor, le mani in grembo e il capo chino, la mesta fante disse rassegnata: «Della fanciulla ch'ero s'è dissolta l'anima intera sotto quella volta». Un giovane chiercuto, alla beata semisfera del cielo rivolgendo l'umile sguardo, e in quella volta lata figgendo la sua mente incandescente, gioiva nella cuna del suo cuore verso la perfezion mandando amore. Quando dall'alto caddero repente i frammenti di vetro silenziosi e s'incrinò la sfera trasparente, l'animo suo, percosso, restò muto e s'infranse del cuore la certezza, dileguando la mite sua fierezza. Giovine donna, guancia di velluto, chiosato il viso dal nero del fumo, la sua maledizion con uno sputo in un tugurio sordido fermava: «Annichilato sia dal più profondo baratro dell'inferno tutto il mondo!»
«Che il mal seme d'Adam», continuava, «che dall'aria del ciel carpe la vita e nutrimenti dai campi ricava, da una celeste tabe sia colpito!» Ma all'improvviso la luce s'espanse e n'ebbe angoscia e di paura pianse. A notte fonda, l'ultimo vagito placato infine, con l'infante al petto e l'occhio fisso verso l'infinito, silente donna, dalla colpa oppressa, sentiva la sua sorte triste e vana nel cerchio della vita quotidiana. «In cuor di donna inclinazione è impressa al circular momento assomigliante; amor di madre ha una natura istessa; innaturale fallo è lo scontento». Su questa conclusion, mutando il cielo, di dubbio e di speranza cadde un velo. Viaggiatore, il pugno sotto il mento, solingo in quella remota contrada, malinconico il lento guardo spento sulla campagna all'intorno mandava. «Abbandonare il focolar che vale», disse, «se l'universo è sempre uguale?» Con la memoria, mesto, riandava a chi piogge di fuoco avea descritto, a chi fiumi di sangue e rossa lava al giovane impaziente avea narrato. Si scosse al comparir della cometa, stupito ch'esistesse la sua meta. Fu scosso ognun da quel segno del fato; si mosse ognun sotto il cielo perlato. NOTA REDAZIONALE Il dattiloscritto di questo
«romanzo in 12 canti» che Luca Chiti mi inviò non ricordo bene in che periodo non
porta alcun riferimento riguardo all’anno di composizione. Il «romanzo», i cui
personaggi sono un vecchio savio, un pellegrino deluso, una giovinetta
sognante, una donna silente, un bizzarro, un viandante, un tale indicato come
«guancia chiosata», è costellato di ballate, dissertazioni, elegie. Dopo
l’indice, per ogni canto, sono riportati gli schemi metrici. |