Luca Chiti
VIAGGIO ALL'ORIENTE (due poesie)
C'è da
tornare al lavoro consueto ora che fuori c'è il sole e il mare è
piatto, senz'onda, in questa primavera troppo calda che fa
pensare a viaggi d'evasione in luoghi ancor più caldi di deserto
rossastro e di cielo senza nubi (ma improvvisa si alza una
tempesta di sabbia e il sole resta un disco verde
sfocato sopra le mura di creta di Isfahan: e l'orizzonte sfuma in
lontananza la nebbia di caldo degli scogli dei monti che invitano
a scoprire il mistero che si cela venti metri
più in là, nel canale di roccia che s'incurva: dietro c'è
forse l'essere di un altro mondo, che ho chiamato nei momenti
dello squilibrio che non conosce soluzione ai problemi, e la
promessa, in lui, di un'avventura mai vissuta da nessuno dei padri nella sua
macchina lucente che penetra nel sole, e ne fuoresce, incolume, ma
cieca e inebriata, la fusoliera rovente, e macchine
che danno la sapienza infinita in un frammento di tempo infinitesimo,
e lo scopo di vivere, ed il coraggio non-umano di rompere
la vita consueta, che apparirebbe inutile. per qualcosa
che valga in rapporto all'universo, e non dia
sazietà e non faccia temere la domanda «che
fare» ed i perché che
affollano la mente davanti all'insondabile futuro dei miei giorni. E allora
(davanti al mare piatto) meglio la sosta notturna a pochi
metri dalle tende dei nomadi ospitali ed assassini per una
penna a sfera, e i ragni-granchio - il raccapriccio della loro
paralisi, acciecati dai fari, e il ventre bianco corazzato a
un attimo dall'essere schiacciato dalle ruote -, e le
bestemmie in mezzo alle falene strane, che restano aderenti con le ali
polverose al mio corpo sudato ed impastato di polvere
finissima; quando viene a mancare ogni visione appena
razionale del futuro ed il problema del momento è l'unico
che conti ed è presente inconsapevolmente il rifiuto
della casa e degli affetti di sempre, perché sono
espressione del giogo imposto dalla vita di ieri che non si
vuole più, e si vuol dire invece, sotto le stelle del deserto
e mentre i nervi sono tesi ai rumori del vento sulla sabbia (un nomade
esce dalla tenda di lana, incuriosito), che c'è una
vita nuova a cui si volge il desiderio di chi sa,
come me, della vita in eterna spossatezza e non deve
capire le parole di chi ciò non comprende e che perciò
propone una vacanza di riposo, sdraiato all'ombra e in faccia
al mare (immobile infinito) come norma di vita. Così, fra
l'evasione e l'impegno, mi domando «che
fare», mentre torno
al lavoro consueto, ora che fuori c'è il sole e non so più
la fiducia di ieri se penso al fuso d'oro dell'essere
venuto da altri mondi per gettarsi nel sole del deserto
persiano a mezzogiorno di Isfahan. LE POUVOIR À
L'IMAGINATION
a
Lori
I fili che
percorrono la mente giungono infine ad uno e il
meccanismo scatta all'improvviso, recuperando, e trasforma
il reale in materia vissuta. Ricordi i
bambini, là, in basso, sulla spiaggia, che dopo una giornata
di mare danno gli ultimi calci alla palla e fanno il salto giù dal
muretto di cemento, vicino a due vecchi
coniugi che in mezzo agli ombrelloni ed alle sedie a sdraio, vuote ormai
di persone o ripiegate, vanno a braccetto lentamente (lui col
bastone) verso il pranzo che alla sera prepara il gestore
della pensione? Ricordi le barche che
contavamo sul mare col sole già un poco aranciata, e ad ogni
sguardo l'indice seguiva gli oggetti sparsi
sull'acqua di graniglia grigia, come se
fosse un tavolo non tutto sparecchiato? Ricordi i
mostri pietrificati nelle rupi alle
propaggini dei Pirenei e quella pieve antica, grigia e
buia di Seo de Urguel, e all'uscita pioveva? Ricordi,
ancora, la membrana di roccia ad una dimensione delimitante
il nulla del paese di fiaba e l'illusione cullata a
lungo durante il pomeriggio prima di
Andorra, luogo-speranza di torri
acuminate e di castelli e di cavalli del principe
bardati tra banderuole acute, e zoccolío
del seguito per le viuzze strette, lastricate con le
scaglie dei draghi che segnano l'entrata nel reame? Ricordi il
marmo di Carrara sulle Apuane tarlato come
in un antico cimitero o come sulle
tombe delle chiese di Lucca? Ricordi
Isola Santa, il paese scaglioso, grigio-bizzarro
come un aspide, macchiato dal verde
dei prativi, sommerso in parte dal bacino d'acqua
montana che fa girare le turbine (e, tutto
intorno, la soffice coperta dei castagni sulle balze,
e i monti-guglia che
incombono sugli orridi - le gole dove una
volta visse il bipede villoso delle origini di cui
troviamo ancora le selci delle frecce e delle lance e le caverne
quasi inaccessibili - la valle-forra dove un
giorno la vita fitta brulicava in un
guardingo camminare tra cespuglio e cespuglio, preda
ugualmente e predatore)? E poi ti voglio dire che la strada diretta a
picco sul Tirreno mi rimandava la memoria a quella che
discende sul Mar Nero, giù, fino a Trapezunte, dove le case
sono grigie ugualmente ed
appoggiate, a difesa, con le spalle alle rupi. La vita
della gente, ho visto, ovunque coincide ed è per tutto un brulicare immenso di corpi e
di pensieri che vedono
il serpente nelle nubi, al tramonto, sopra i
tetti e le chiese di Lucca (gli
zingari, stagliati contro le rocce dello sfondo, stanno
ancora seguendo i dromedari sopra il deserto d'erbe secche su di un
carro di legno a ruote piene: con i
turbanti delle donne variopinti, lentamente - alle falde
dell'Agri, sacro monte
dell'arca, dove ogni roccia appare il muro
sgretolato di antiche civiltà dimenticate di Titani). Abbiam
guardato (ed ho guardato ancora prima che tu fossi) sempre con
l'occhio dell'uomo di cultura che non
riesce a superare mai le convenzioni e le apparenze che illudono
al progresso di una scienza perfetta che porta
sulla luna; e non ci siamo accorti che siamo
ancora come la tribù che vive in alto sulla terramara o in mezzo
alla palude tra lo sterco dei figli. Ad un livello non mistificato ciascuno si presenta nel valore reale: siamo ancora al di qua della membrana che sbarra il regno delle torri acuminate; e il drago che affondava la testa troppo piccola nel lago (ricordi?) non è
stato sconfitto da Sigfrido, anzi si è posto eterno ed immobile custode dell'entrata del principato isolato di Andorra che nel reale si mostra delusione di alberghi ultramoderni per turisti. NOTA
REDAZIONALE Queste due
poesie di Chiti sono tratte dal suo libro di poesia «Il viaggio all’Oriente»,
in Luca Chiti e Remigio Coli, Poesie,
Luciano Manzuoli editore, Firenze, 1972, pp. 7-27. |