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Gian Pio Torricelli
TRE INCIPIT


DUNQUE CAVALLO
con una nota di Adriano Spatola
Bologna, Sampietro, 1965

 
L'ultima di copertina di Dunque Cavallo riproduce
la poesia visiva di Emilio Isgrò "Dio è un essere perfettissimo" (1965).




                                                        Jean-Louis Bédouin
                                                        "La poésie reprend ainsi son véritable sens d'activité de
                                                        l'esprit, constamment mêlée à la vie dont elle n'est pas
                                                        plus séparable que le langage".

La stampella amputata

È il tamburo è la scala è la stampella
amputata è la voce ulcerata del sangue che non coagula
è il girasole notturno è la tragedia in camicia
con l'ombelico in cancrena le mani schizodattile o
il dubbio dentro il cranio ronzío (o
l'ombra delle fanciulle in forse?) ma anche
il colpo secco della pistola pneumatica in fronte
l'ordigno che ti cambia l'errore in esattezza.

Requiem

Requiem per gli incolumi sono
fazzoletti sporchi tamponi competenze equatori
sono veicoli pieni di carne macellata sono
fegati pula negli occhi-tagliole sono
per l'imputato i morsi e la tortora dell'istruttoria
ma è l'occhio che sporge così spinto in fuori dal
controllore ma è allotropo d'ameba che alluna
ma è il sole nero.


Alla fine di Dunque Cavallo ci sono questi due testi, ripresi anche nel libro Poesia surrealista italiana di Beatrice Sica (Genova, San Marco dei Giustiniani, 2007, pp. 281-282):

Punching-ball

per Claudio Parmigiani

Ex utero ante luciferum genui te pelobate o canguro che sbra-
polibasto che cresce col fischio incidendo del quagliere durante la ptosi d'entrambe
le palpebre le picchiate graffianti delle poiane venire meno tra

neri fusti percossi da dentro dell'olio sul porfido svuotati: un modo di-
ventare gasoso a quattrocentomila atmoSFERE senza che

aumenta le irritazioni ascellari delle pulicosi che i polibori beccano se un giorno
si gonfierà enormemente e ci brucerà tutti e la pratica operativa

della compagnia di bandiera italiana in un incontro massacrante
sotto la pioggia nelle compressioni che accompagnano le diverse
detonazioni degli esplosivi (suddivisibili in varie categorie a seconda delle
relative boriane) quantus mutatus ab

illo
nella quadratura del cerchio mediante cocleoide e dalle equidifferenze
della sua equazione quartica salgono le antifone alleluiali bollicine

nel pulque abitabili pianeti



Come lo definì una volta Bernardo di Chiaravalle (1)

per Adriano Spatola

L'indice sulla tempia in mimesi di canna da fuoco
quando invece tutti s'attendono l'allocuzione o l'apologo
l'ascensore aprendosi rotolare fuori molti denti
ribellarsi alla ribellione accettando accettazioni obiettando obiettanze
le braccia penzoloni dalle transenne degli amboni ricolmi
e insaccato il tondo gozzo dentro il cavo infraclavicolare
cancellarle tutte con la gomma minuscola della sua smisurata monomania
ricominciare da capo in modo che non sembri più una manovra
alzato il pollice grilletto aspettare

(1) Pat. Lat., 183, 460.


STECHIOTRONO
[1964] in Tau/ma 1 (1976): s.i.p.






EUBASÈ O FOLLIA
[1964/1974] in Tau/ma 1 (1976) s.i.p.





Coi sei rintocchi della campana a morto dalla torre di Eoga, infilò i piedi freddi in parastinchi, in calze slese; e le gambe malferme dentro i bui tubi dei calzoni bisunti.

Le patte delle tasche fuori e le balze rovesciate.

Sui vecchi sandali maleodoranti di tabefatto d'uovo enunciò l'apoftegma; e, giunto all'apodissi,. si dilungò in tropi.

Sullo schermo fluorescente del tubo a raggi catodici comparvero allora l'impulso trasmesso e quello riflesso.

Sotto il grande ventre dal respiro bolso, il lungo serpente della scala a chiocciola stritolava la sua preda di penombra; coi guanti persi e una provetta ricolma di capelli sugli ultimi gradini.

E qui un vecchio dai grandi occhiali neri che pareva aspettarlo: le' orecchie ad ansa e la frollaggine del naso a nappa cascante e bitorzoluto; adesso usciva dall'androne a testa china, inciampando in un cumulo di segatura.

Poi corse giù slombato e soliloquiente lungo la Rampa di Peonasséa, aritmicamente picchiettando sul lastricato allagato la ghiera luccicante di un ombrello nuovo.

Il Logosomma al platinocianuro di Aube contemplava quindi che le probabilità ottimali della ripetizione di quell'incontro, quanto delle desamine paratemporali di una stessa interiezione pazientemente interrogativa, figurassero pure, in Ocommabaghe, di mescolarsi all'estrusione di un nuovo conato di vomito dal puzzo d'aglio dell'arsenico riscaldato, che andasse pertanto ad annaffiare il muso arvinulato e porcino del piccolo catocenadelfo gravido.

Così, con un atteggiamento oblativo pratico verso le esigenze iterative della giuria, e con una mossa d'irriducibile contrasto verso l'azione eupeptica del sensorio paraentelico di Ocommabaghe, disse l'epagoge e, quando l'ebbe conclusa con l'aufeghe e l'ogasséa per le grandi foglie ovali e per il fiore a pannocchia della Rheum Officionale, della famiglia delle Poligonaceee, s'arrampicò con una lenta e cadenzata epanalepsi, verso la torre dell'Eutario.

Strada facendo il postema suppurò; e gli idracni scoppiarono naturalmente nel bel mezzo di unasindeto; finché, dopo un'agile metabasi, prese a colpi di scure il piccolo catocenadelfo gravido che, come al solito, l'aveva seguito.
 


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