TESTI SU GIAN PIO TORRICELLI
Non ce ne
dovrebbe essere bisogno, meglio però avvertire subito il lettore del significato
preciso e particolarissimo di una proposizione come quella di Jean-Louis
Bédouin (1) che apre questo libro: del resto, in essa, il gioco dei rimandi
(poesia, attività spirituale, vita, linguaggio...) è tutt'altro
che elementare; semplifichiamo pure, per nostra comodità, la struttura stessa
di questa relazione molteplice, e teniamo fermo per un attimo soltanto il fatto
dell'inseparabilità di poesia e vita, di vita e linguaggio: e tuttavia ci
troviamo calati in un sistema senza barriere, completamente e costantemente
aperto, dal quale non si pensa di poter ottenere un qualche prodotto finito,
dal momento che è nella sua natura una chiara volontà di continuo
rovesciamento di fronte. Queste
sono le caratteristiche, si sa, della poesia surrealista (e il Bédouin è storico e
teorico del surrealismo nel dopoguerra): riallacciarsi ad esse, e in questa
maniera diretta, scoperta, assolutamente priva di inibizioni, ha contato
evidentemente molto per Torrlcelli; tanto, almeno, da coinvolgerlo in un lavoro
nel quale l'impazienza ideologica, l'ansia di mutamento, il gusto per la
rivoluzione totale non hanno potuto fare a meno - dato per scontato l'ambiente
immodificabile nel quale siamo costretti a vivere - di rivolgerglisi contro,
armi smussate dal grottesco e dall'ironia: L'indice
sulla tempia in mimesi di canna da fuoco quando invece
tutti s'attendono l'allocuzione o l'apologo … ricominciare
da capo in modo che non sembri più una manovra alzato il
pollice grilletto aspettare. È chiaro che in una
proposta di questo genere fermentano tutti gli elementi di quel revival del surrealismo di cui da più
parti (anche se talvolta in maniera contorta e sospettosa) si denuncia
l'esigenza; ma è chiaro anche che in essa confluiscono apertamente gli
apporti della recente, novissima poesia italiana: così, per fare un esempio, è fin troppo ovvio - a proposito di certi pastiches
linguistici nei quali il Torricelll giunge a una vera e propria invenzione del
linguaggio - fare il nome del Giuliani di «Invetticoglia» (2); e ventisei olti
sono prusi a deligendere gli stopli della pogreunta minacciosa la miserva
ulaticcia non cole i fossenti del potrio accidentale e da quando fretuo è fretuo la
fione d'alutrizia è ruguria missionaria sta proprio sullo stesso piano operativo di sgrondone
leucocitibondo, pelllmbuto di farcime, la tua
ficalessa sbagioca e tricchigna tuttadelicatura la
minghiottona: ohi sottilezze cacumini torcilocchi… piano operativo che è poi quello del rifiuto della comunicazione come invito
alla complicità del lettore, alla sua supina acquiescenza: in questo modo. la
poesia diventa provocazione, attacco frontale, mimesi ironica e assurda di una
schizofrenia calcolata. Note (1) Jean-Louis Bédouin (1929-1996) è un critico letterario, uno scultore e un poeta surrealista francese nato a Neuilly sur Seine e morto a Parigi. Oltre la sua opera poetica ha pubblicato un’antologia della poesia surrealista (La Poésie surréaliste, Seghers, Paris, Coll. « Melior», 1964) e studi su André Breton, Benjamin Péret e Victor Segalen. La proposizione di Bédouin cui fa riferimento Spatola, posta all'inizio di Dunque Cavallo, è questa: "La poésie reprend ainsi son véritable sens d'activité de l'esprit, constamment mêlée à la vie dont elle n'est pas plus séparable que le langage". (2)
Il riferimento è alla poesia «Invetticoglia» di Alfredo Giuliani uscita su Chi l’avrebbe detto, Einaudi, Torino,
1973, di cui si riporta il testo integrale: sgrondone
leucocitibondo, pellimbuto di farcime, la tua ficalessa
sbagioca e tricchigna tuttadelicatura la minghiottona:
ohi sottilezze cacumini torcilocchi presticerebrazioni,
che ti strangosci polpando mollicume, arcipicchiando
la voraciocca passitona, la tua dolcetta che allucchera
divanissimamente il pruggiculo; cagoscia
vizzosaggini il bàrlatro grattoso: la tua merlosa
irabondaggine e vita
Fonte: Adriano Spatola, «Un poeta
parasurrealista», prefazione a Gian Pio Torricelli, Dunque Cavallo, Sampietro, Bologna, 1965.
[Recensione a Gian Pio Torricelli, Coazione a contare, Lerici, Roma, 1968]
Dissimile, ma non opposta, è la posizione di Torricelli. Oltre le polemiche contingenti, la poesia tenta in ogni caso di farsi misura del mondo, codice interpretativo. In Pagliarani si tratterà di un modo di “aggredire” la realtà, in Torricelli invece di una maniera di calarsi in essa dolcemente, per una sfida non frontale, dall’interno. È per questo che la poesia di Torricelli — che nasce come rifiuto della parola — s’identifica sempre con la parola. Si tratta di un’ambiguità allo stato puro, di una celebrazione del testo secondo il rito della negazione. Non è certo per caso che Coazione a contare si presenta come romanzo... Una volta arrivati alla dissoluzione del genere letterario (qualunque esso sia) è possibile dare infinite false ‘indicazioni sulla reale consistenza di un’opera, ma quello che conta è che Torricelli si rifiuti di offrire un prodotto al lettore, e gli offra invece lo schema di un gioco, il pretesto per un’invenzione.
Da: il verri,
30, Bologna, 1969.
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