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Adriano Spatola
TESTI SU GIAN PIO TORRICELLI



UN POETA PARASURREALISTA

 

     Non ce ne dovrebbe essere bisogno, meglio però avvertire subito il lettore del significato preciso e particolarissimo di una proposizione come quella di Jean-Louis Bédouin (1) che apre questo libro: del resto, in essa, il gioco dei rimandi (poesia, attività spirituale, vita, linguaggio...) è tutt'altro che elementare; semplifichiamo pure, per nostra comodità, la struttura stessa di questa relazione molteplice, e teniamo fermo per un attimo soltanto il fatto dell'inseparabilità di poesia e vita, di vita e linguaggio: e tuttavia ci troviamo calati in un sistema senza barriere, completamente e costantemente aperto, dal quale non si pensa di poter ottenere un qualche prodotto finito, dal momento che è nella sua natura una chiara volontà di continuo rovesciamento di fronte.

      Queste sono le caratteristiche, si sa, della poesia surrealista (e il Bédouin è storico e teorico del surrealismo nel dopoguerra): riallacciarsi ad esse, e in questa maniera diretta, scoperta, assolutamente priva di inibizioni, ha contato evidentemente molto per Torrlcelli; tanto, almeno, da coinvolgerlo in un lavoro nel quale l'impazienza ideologica, l'ansia di mutamento, il gusto per la rivoluzione totale non hanno potuto fare a meno - dato per scontato l'ambiente immodificabile nel quale siamo costretti a vivere - di rivolgerglisi contro, armi smussate dal grottesco e dall'ironia:

 

L'indice sulla tempia in mimesi di canna da fuoco

quando invece tutti s'attendono l'allocuzione o l'apologo

 

 

ricominciare da capo in modo che non sembri più una manovra

alzato il pollice grilletto aspettare.

 

    È chiaro che in una proposta di questo genere fermentano tutti gli elementi di quel revival del surrealismo di cui da più parti (anche se talvolta in maniera contorta e sospettosa) si denuncia l'esigenza; ma è chiaro anche che in essa confluiscono apertamente gli apporti della recente, novissima poesia italiana: così, per fare un esempio, è fin troppo ovvio - a proposito di certi pastiches linguistici nei quali il Torricelll giunge a una vera e propria invenzione del linguaggio - fare il nome del Giuliani di «Invetticoglia» (2); e

 

ventisei olti sono prusi a deligendere gli stopli della pogreunta minacciosa

la miserva ulaticcia non cole i fossenti del potrio accidentale e da quando

fretuo è fretuo la fione d'alutrizia è ruguria missionaria

 

sta proprio sullo stesso piano operativo di

 

sgrondone leucocitibondo, pelllmbuto di farcime,

la tua ficalessa sbagioca e tricchigna tuttadelicatura

la minghiottona: ohi sottilezze cacumini torcilocchi…

 

piano operativo che è poi quello del rifiuto della comunicazione come invito alla complicità del lettore, alla sua supina acquiescenza: in questo modo. la poesia diventa provocazione, attacco frontale, mimesi ironica e assurda di una schizofrenia calcolata.

 

 

Note

 

(1) Jean-Louis Bédouin (1929-1996) è un critico letterario, uno scultore e un poeta surrealista francese nato a Neuilly sur Seine e morto a Parigi. Oltre la sua opera poetica ha pubblicato un’antologia della poesia surrealista (La Poésie surréaliste, Seghers, Paris, Coll. « Melior», 1964) e studi su André Breton, Benjamin Péret e Victor Segalen. La proposizione di Bédouin cui fa riferimento Spatola, posta all'inizio di Dunque Cavallo, è questa: "La poésie reprend ainsi son véritable sens d'activité de l'esprit, constamment mêlée à la vie dont elle n'est pas plus séparable que le langage".

 

(2) Il riferimento è alla poesia «Invetticoglia» di Alfredo Giuliani uscita su Chi l’avrebbe detto, Einaudi, Torino, 1973, di cui si riporta il testo integrale:

 

sgrondone leucocitibondo, pellimbuto di farcime,

la tua ficalessa sbagioca e tricchigna tuttadelicatura

la minghiottona: ohi sottilezze cacumini torcilocchi

presticerebrazioni, che ti strangosci polpando mollicume,

arcipicchiando la voraciocca passitona, la tua dolcetta

che allucchera divanissimamente il pruggiculo;

cagoscia vizzosaggini il bàrlatro grattoso:

la tua merlosa irabondaggine e vita

 

 

Fonte: Adriano Spatola, «Un poeta parasurrealista», prefazione a Gian Pio Torricelli, Dunque Cavallo, Sampietro, Bologna, 1965.


Sul concetto di parasurrealismo si legga il testo di Spatola uscito su Marcatrè del dicembre 1986, cliccate qui.




[Recensione a Gian Pio Torricelli, Coazione a contare, Lerici, Roma, 1968]

 

 

       Dissimile, ma non opposta, è la posizione di Torricelli. Oltre le polemiche contingenti, la poesia tenta in ogni caso di farsi misura del mondo, codice interpretativo. In Pagliarani si tratterà di un modo di “aggredire” la realtà, in Torricelli invece di una maniera di calarsi in essa dolcemente, per una sfida non frontale, dall’interno. È per questo che la poesia di Torricelli — che nasce come rifiuto della parola — s’identifica sempre con la parola. Si tratta di un’ambiguità allo stato puro, di una celebrazione del testo secondo il rito della negazione. Non è certo per caso che Coazione a contare si presenta come romanzo...

         Una volta arrivati alla dissoluzione del genere letterario (qualunque esso sia) è possibile dare infinite false ‘indicazioni sulla reale consistenza di un’opera, ma quello che conta è che Torricelli si rifiuti di offrire un prodotto al lettore, e gli offra invece lo schema di un gioco, il pretesto per un’invenzione.

 

 

Da: il verri, 30, Bologna, 1969.



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