"NON LO SO".
WISŁAVA SZYMBORSKA ARTISTA di Ada De Pirro Se filosofare è
dubitare, come si dice, a più forte ragione
baloccarsi e fantasticare, come faccio io,
deve essere dubitare. Michel de Montaigne, Saggi, libro II, cap. III Quando
per intense sessioni di lavoro Wisłava Szymborska si chiudeva dentro
casa per realizzare le sue cartoline, agli amici diceva che si ritirava a “fare
l’artista”. Immaginiamo che in quella specie di rito poteva aprire con calma i
suoi innumerevoli cassetti (dove in verità conservava anche molti oggetti
kitsch destinati alle sue lotterie), tirare fuori e sparpagliare sul pavimento
vecchie riviste giornali cartoline e ritagli di fotografie, prendere la miglior
colla in tubetto sovietica e – da un certo momento in poi – dell’ottimo
cartoncino svedese e iniziare a creare. Creava
cartoline perché non soddisfatta di quelle in commercio. Le chiamava
affettuosamente wyklejanki, carte
incollate come quelle che fanno i bambini e le regalava a amici e conoscenti in
diverse occasioni ma soprattutto per il capodanno. Opere bonsai che hanno la
concisione e la freschezza di un haiku quando sono più liriche, o
di un limerick quando il loro carattere beffardo è più
forte [i collage di WS sono tratti da M. A. Potocka, (a cura di), Wisłava Szymborska Kolaźe, catalogo mostra presso MOCAK, Cracovia 2.2-13.4.2014].
Tutte sospese nel limbo del nonsense, sono composte da immagini e spesso da
parole o frasi ritagliate da varie pubblicazioni. Hanno sempre le stesse
dimensioni standard di una cartolina a parte rare eccezioni come quella
destinata a Woody Allen che è più grande. Come quest’ultima, a volte le sue
creazioni sono semplicemente collage realizzati da parole e frasi ritagliate e
incollate. La sua
firma o la sua scrittura compaiono di rado. Le parole inserite nella
composizione, quando presenti, sono state adottate come titolo in occasione
delle esposizioni di queste opere. Anche se è chiaro che le sue cartoline erano
create per un uso strettamente privato, pare che la poetessa fosse orgogliosa
nel vederle esposte (1). Osservare
tante wyklejanki insieme dà
l’impressione che l’accostamento delle figure tra loro, in presenza o meno
della parte verbale, abbia la leggerezza dell’incontro fortuito ma che con
stupefacente precisione mette in moto una potenzialità di senso che a ogni
sguardo rimane sospesa. È il nonsense a illuminare lo slittamento dato dagli
accostamenti dei vari elementi che la maggior parte delle volte rimanda ironicamente
e paradossalmente a aspetti della natura umana e dei rapporti interpersonali. I
collage di WS non sono mai esplicitamente politici ma sempre sottilmente
improntati alla libertà di pensiero che è poi una ribellione alle rigidità
imposte durante i regimi in cui la poetessa si è trovata a vivere (2). Il nonsense
è infatti da leggere anche come un’arma per aggirare le insidie della censura
comunista che fino al 1989 controllava la posta degli intellettuali polacchi
che come WS erano considerati dissidenti.
Come
nelle sue poesie, il carattere di queste opere rilassate, giocose, immediate e dense
è apparentemente semplice, scaturito da una profonda distillazione della
complessità dell’esistenza. Anche qui il dialogo con il mondo circostante è
continuo e i riferimenti a opere d’arte (prelievi da pittura e grafica) e del
cinema e dello spettacolo (volti e figure) sono frequenti. Prevale il prelievo
di fotografie, non artistiche ma piuttosto pubblicitarie e del disegno a tratto.
L’eco ironica e paradossale della propaganda politica da un lato e quella del
consumismo dall’altro, sembra percorrere sotterraneamente tutte le creazioni. Mentre
in Polonia questa sua attività parallela alla poesia, iniziata alla fine degli
anni sessanta, era nota da tempo, in Italia è stata conosciuta solo di recente
con le mostre a Roma, Gavoi e Bologna (3) e la pubblicazione con sottotitoli in
italiano del documentario di Kolenda-Zaleska e la proiezione amatoriale di quello di Jansenn (4). Utile
strumento per chi non è pratico della lingua polacca è il catalogo in versione
bilingue della mostra tenuta al MOCAK nel 2014 (5) con tantissimi esempi di
queste opere piene di arguzia. Collage di una collezionista. Come molti
artisti che si dedicano a opere in cui l’idea del montaggio è centrale, WS è
una collezionista. Non metodica e piuttosto compulsiva a quanto pare, amava
andare alla ricerca di souvenir dozzinali quando viaggiava o in genere nei
mercatini dove acquistava oggetti di forma bizzarra e ridondante, spesso
inutili, in una parola kitsch. Amava questo genere perché a suo dire non doveva
giustificare nulla del suo carattere mediocre, era così e basta. Riconosceva la
stessa qualità ai suoi collage ma come un scherzo dell’immaginazione, «qualcosa
che esige un conflitto: tra ingenuità e presunzione, sdolcinatezza e
sciocchezza» (6). Il kitsch è sinonimo di eccesso che in qualche modo certifica
gli eccessi dell’esistenza e li accoglie nella normalità delle vicende umane. La sua
passione per i ricordini durante i suoi rari viaggi sono, seguendo il
ragionamento di Gillo Dorfles su questo tema, da mettere in relazione con il
“processo di familiarizzazione dell’esotico” o di “esotizzazione del familiare”
(7) ad opera di una persona che non amava allontanarsi dalla propria città.
L’ironia e l’autoironia la portano con lo stesso atteggiamento kitschig a farsi fotografare sotto i
nomi di città come Neanderthal, Limerick, Corleone. Nomi a lei noti e che la
divertiva andare a cercare e trovare scritti a caratteri cubitali. Il suo
‘enciclopedismo’ la portava a incuriosirsi di molti aspetti della cultura
popolare che riusciva a mettere insieme ai suoi interessi letterari e colti. Amava
il cinema e le telenovelas, così come Thomas Mann, Michel de Montaigne e le
composizioni giocose come i limerick (in cui una delle regole è inserire al
primo rigo il nome di una città). Osservava i comportamenti degli animali e non
amava la loro umanizzazione. Le piacevano in particolare le scimmie, con cui si
fece fotografare più volte e che riporta più volte nei suoi collage.
Fin
dall’adolescenza non disprezzava i “saperi inutili” che preferiva a quelli
proposti a scuola (8). Per i
suoi collage WS metteva da parte molto materiale figurato, di ogni genere e
stile. Immagini che potevano stimolarla e che assemblava in modo spaesante,
irriverente, ammiccante. Sicuramente sceglieva i soggetti in base al
destinatario e quindi nella maggior parte dei casi sfugge quale messaggio
sotteso si possa nascondere dietro le sue composizioni. Chi riceveva questi
doni poteva probabilmente comprendere più profondamente le sfumature affettuosamente
ironiche che volevano trasmettere. Il
collezionismo di WS è di tipo aleatorio, anche se sostanzialmente basato su un criterio,
quello del kitsch (9). Come sappiamo, alea
per Caillois è il contrario di agon,
in quanto è il caso e non il giocatore a dirigere il gioco (10). Amante del
gioco a carte, basato su regole precise che mettono sullo stesso piano i
giocatori (e che dunque rientra nella categoria dell’agon), nel raccogliere carte e scritte da ritagliare – da comporre
poi nei suoi collage –, WS crea a modo suo una collezione che però andrà
paradossalmente dispersa, frammentata nelle centinaia di opere che finivano singolarmente
nelle mani dei suoi amici e conoscenti. Come
accadeva nel dispositivo delle lotterie da lei organizzate, in cui i vincitori
degli oggettini che aveva accumulato erano estratti a caso, la sua raccolta era
asistematica e non direzionata univocamente verso qualche soggetto. «Sono
sempre stata attratta dal caso e dalle sue imperscrutabili mosse», aveva
affermato nella recensione di un libro sulle mummie (11). Tra
oggetti e ritagli la poetessa sembra richiamare più la realizzazione di un temporaneo
gabinetto di curiosità, una Wunderkammer, una raccolta eterogenea di immagini (e
oggetti) di affezione occasionale piuttosto che la sistematizzazione di saperi
o di preferenze specifiche. Un insieme che è poi un accumulo creato dall’“incontro”
come lo definiva Breton o “appuntamento” come lo chiamava Duchamp (12) con i
singoli elementi. La ricerca costante di immagini da far proprie ci racconta
del desiderio della poetessa di raccogliere per poi disperdere una collezione mutevole,
mai statica ma piuttosto un work in
progress senza fine. L’anacronismo
creato dal montaggio (seppur temporaneo) messo in opera nelle collezioni
eterogenee come quella di WS, è da intendersi come una rivisitazione dell’idea
di storia (13), personale in questo caso, che
viene arricchita dalla possibilità combinatoria di momenti diversi nella narrazione
creata dalle immagini (prelevate da vecchie riviste, da riproduzioni di opere
d’arte, di enciclopedie, di cartoline e molto altro). I riferimenti culturali possono
essere indifferentemente alti (museo, danza, teatro, storia dell’arte) o
popolari (pubblicità, propaganda, cinema, televisione). Il tutto è arricchito
da un’atmosfera sognante seppur giocata su diverse sfumature dell’umorismo spesso
applicato al mondo delle relazioni umane. Sullo sfondo notiamo sempre la
semplicità del racconto per l’infanzia e quella particolare accezione di stupore che il suo traduttore italiano,
Pietro Marchesani, descrive come carattere principale delle opere poetiche di
WS, e che può essere letto anche nelle sue opere figurative (14).
Il “non
lo so” più volte ribadito dalla poetessa (15), sembra riflettersi nel suo
particolare tipo di collezionismo ‘inconsapevole’. Grazioli nell’analizzare la
forma del collezionismo per Joseph Cornell ci indica una lettura dell’inconsapevolezza
come «intreccio e rovesciamento dei tempi: è dopo che il progetto acquista
senso, si ristruttura, anche se poi appare come ordine e dunque come se fosse
stato stabilito prima. Il collezionare è appunto questa idea di forma, attiva,
che dà forma mentre si fa e che rende pertanto il contenuto inestricabile dalla
forma stessa». La lettura di questi tipi di montaggio per l’autore del saggio continua
con un riferimento all’opera Rebus di
Rauschenberg, montaggio di elementi di tipologia non lineare creato sulla base
di stimoli urbani «montati per associazioni e automatismi» (16). Le
opere a collage della poetessa polacca possono essere avvicinate al clima
culturale degli anni in cui questi vengono iniziati, gli anni settanta, per non
cambiare sostanzialmente mai nel corso dei quaranta anni successivi. Sono
lontani cioè dall’accezione più concettuale dell’idea di catalogo che numerosi
artisti hanno concepito negli stessi anni. Gioco come difesa. WS
diceva che il gioco bisogna prenderlo molto sul serio (17). Amava giocare con
il linguaggio e si divertiva un mondo a comporre limerick insieme ai suoi
amici, soprattutto quando era in viaggio. Divertimento che condivideva con
alcuni poeti che continuavano una tradizione piuttosto consolidata in Polonia. Nel
1994 partecipò a un famoso certamen che si tenne in occasione di una serata in
onore di Stanisław Barańczak (18). La
pratica ludica della composizione di limerick e quella delle wyklejanki hanno più punti in comune: l’aspetto
giocoso, la brevità e l’arguzia delle associazioni nonsensiche. Edwar Lear, il
più famoso compositore ottocentesco di limerick che probabilmente WS conosceva,
usava illustrare con divertenti vignette le sue brevi opere, traducendo
graficamente l’assurdità degli enunciati. La poetessa polacca sembra continuare
la tradizione con i suoi collage che potrebbero essere a loro volta
l’illustrazione di altrettante composizioni nonsensiche. WS oltre
che nelle sue poesie, anche nei componimenti brevi fa un largo uso di giochi di
parole basati su slittamenti di senso, calembour, doppi sensi ecc. (19). La
poetessa polacca Ewa Lipska, amica di WS, ha sostenuto che «tutti i nostri
passatempi, giochi di società, limerick erano una forma di autodifesa da ciò
che ci circondava, dall’assurdità della vita quotidiana, dalla censura, dalla
noia e dalla volgarità del telegiornale. Non eravamo affatto degli sciocchi
buontemponi» (20). La poetessa e i suoi amici letterati amavano anche giocare a
carte – come il coda, una variante
del ramino –, inventare storie, bere e fumare come antidoto alla norma imposta
dal regime. Anche
l’umorismo può essere considerato una forma di autodifesa, già presente
storicamente nella cultura polacca, ma venata di malinconia se in un’intervista
la poetessa ha detto che «in realtà l’umorismo è una grande tristezza che
riesce a cogliere il ridicolo delle cose» (21).
Combinatoria del caos È nota la passione di
WS per enciclopedie, erbari, dizionari e libri di araldica (22), condivisa con altri grandi letterati europei del
novecento. La lista, il catalogo, l’elenco, presenti nelle sue composizioni
poetiche, sono, in genere, una rappresentazione del tentativo di metter ordine
al caos, una combinatoria formata dalla casualità dell’ordine alfabetico o di altre
sequenze più o meno arbitrarie. Come per i suoi cassetti disordinati che
venivano svuotati periodicamente dei suoi contenuti, WS cercava di dare un
ordine creando combinazioni nei suoi collage o lasciando al caso, con
l’estrazione a sorte, la destinazione dei suoi oggettini kitsch. La particolare
combinatoria delle sue opere ha un aspetto sicuramente poco scientifico ma
frutto di percorsi del pensiero che vengono realizzati seguendo il guizzo
improvviso di una illuminazione. Anche se sicuramente concepiti singolarmente e
per persone precise, osservare le wyklejanki
in un numero cospicuo (come le centoventi del catalogo Mocak), dà la sensazione
di poter disporre le immagini seguendo combinazioni per argomenti, soggetti,
parole ricorrenti, materiali utilizzati e altro. Se c’è sicuramente un gioco
combinatorio che viene messo in atto dall’artista, esiste anche una possibilità
combinatoria in chi guarda le opere così composte. Da un lato l’artista
dall’altro il fruitore, tentano una combinatoria del caos del mondo. In Letture facoltative, recensendo il
calendario a parete dell’anno 1973, tesse le lodi di questa indispensabile (a
quel tempo) pubblicazione e dopo aver fatto un breve elenco della varietà di
notizie appuntate sulle singole pagine, sottolinea quanto l’ambiguità del
calendario sia rispettabile. «Il miscuglio dei soggetti è terribile, le
dissonanze sono atroci, la solennità della storia è contigua alla banalità del
quotidiano, sentenze filosofiche fanno a gara con previsioni del tempo in bella
rima, e le biografie degli eroi stanno pazientemente gomito a gomito con i
consigli di zia Clementina. [...] Arrivo al punto di scorgervi una segreta
somiglianza con le grandi narrazioni di un tempo, come se il calendario fosse
un parente dell’epos, un figlio illegittimo...» (23). Lo stesso carattere
illegittimamente ‘epico’ del calendario si potrebbe leggere anche tra i suoi
collage e la loro possibilità combinatoria secondo sequenze ogni volta diverse
a formare una storia dell’umanità.
Suggestioni. L’originalità
della poesia di WS, lontana dal sublime e piuttosto vicina al minimalismo di
matrice metafisica (24), non può essere definita dal punto di vista linguistico
parte delle sperimentazioni delle neoavanguardie più radicali. Mentre
con i suoi collage, in maniera semplice e diretta, si avvicina al particolare
tipo di figurazione propria della Visual Poetry, una delle manifestazioni della
neoavanguardia artistica e letteraria degli anni sessanta e settanta in Europa.
Coniugata in forme verbovisive diversificate, le opere di questa corrente
internazionale, basata in molti casi sull’uso della tecnica del collage di
invenzione cubista, è indirizzata a creare dispositivi semantici nuovi e
provocatori anche se legati alla tradizione delle prime avanguardie,
soprattutto il Dada. Fermo
restando che WS abbia potuto aver tratto suggestioni da materiali e opere
diverse, così come era aperta e curiosa verso stimoli differenziati per le
poesie, le sue wyklejanki sono state
giustamente messe in relazione con le opere di Max Ernst, anche se alla base
esistono sostanziali differenze nella genesi (25). Analogie si possono
riscontrare soprattutto con le serie La
femme 100 têtes (1929) e Une semaine
de bonté (1933), create interamente con riproduzioni di stampe di epoca
vittoriana a tratteggio. D’altro canto WS, che da giovane fu illustratrice, ha
dichiarato di preferire il disegno a tratteggio e nelle sue opere figurative fa
spesso uso di personaggi eseguiti con questa tecnica, inseriti in contesti
spaesanti e paradossale.
Max Ernest
Se la
pubblicazione della traduzione integrale in polacco del Primo Manifesto del Surrealismo
avvenne alla fine degli anni sessanta e inizio settanta, in cui comparve una
poesia di Breton composta con ritagli di giornale (26), potrebbero aver dato
spunto alla poetessa anche opere del dadaismo come i collage fotografici di Hannah Hoch e John Heartfield.
André Breton Hannah Hoch John Heartfield
Per vicinanza culturale i collage degli anni ottanta di Jiří Kolář hanno diverse
affinità, come già messo in evidenza anche nel catalogo del Mocak (27).
In generale però la produzione dell’artista ceco
tende a riempire con una sorta di horror vacui tutta la superficie delle sue
opere, mentre i collage di WS si distinguono per la rarefazione delle figure e
delle scritte che campeggiano su superfici normalmente vuote. Altra
fonte di ispirazione potrebbero essere stati i fotomontaggi dell’avanguardia
russa, vicini alle composizioni dadaiste, soprattutto quelli eseguiti prima
della repressione staliniana dell’inizio anni trenta (1923-30). Da
questi, ad opera a volte degli stessi artisti dell’avanguardia come Aleksandr
Rodčenko (illustrazioni per Pro Eto (Per
Questo) di Majakovski), le pubblicazioni della propaganda russa e
polacca utilizzano a volte la stessa
tecnica per esaltare in maniera semplificata e per questo efficace i temi cari
al regime: il lavoro, il benessere sociale e la felicità collettiva. In questo
ambito, infatti, «l’aspetto tecnico ha sempre rappresentato un elemento
costante di qualsiasi tipo di fotomontaggio che, a seconda dell’autore, poteva
divenire un’opera d’arte o un manifesto di propaganda» (28).
Pro Eto di V. V. Majakovski
Aleksandr Rodčenko
D’altro
canto in Unione Sovietica la tradizione per la tecnica del fotomontaggio
dilettantesco è molto popolare e tratta temi familiari, «dai collages di fotografie di famiglia negli
album, ai giornali murali, dalle riprese in atelier
o in vacanza alle foto in trompe
l’oeil, ai ritratti dei compagni di scuola al liceo» (29). Non sappiamo se
la stessa tradizione fosse popolare in Polonia ma sicuramente la fotografia
nella dimensione privata è una delle forme più frequenti di arte popolare del
ventesimo secolo. Il
gioco parodico che spesso WS ingaggia nelle sue opere poetiche, si affaccia con
maggior forza nei collage. Il carattere intimo e colloquiale delle sue
composizioni, come visto tutte di piccole dimensioni, si confronta con il
carattere magniloquente del manifesto propagandistico e lo utilizza per i suoi
non-proclami. Con aria irriverentemente anti-declamatoria, la poetessa racconta
il quotidiano attraverso l’assurdità di accostamenti spaesati. Al mondo delle
certezze granitiche viene contrapposto quello del dubbio. Quello del “non lo
so” tanto amato.
Vanitas vanitatum, senza
esagerare. Nel
collage creato per i coniugi Krynicki su un fondo giallino campeggia un grande
teschio. In basso a sinistra è incollata la frase Koniec kłopotów (Non più problemi) ritagliata da
un giornale. La presenza del teschio sembra essere un umoristico memento mori, allusivo alle note rappresentazioni barocche della Vanitas vanitatum.
Il tema
della finitezza delle cose è sempre presente nell’opera della poetessa polacca,
mentre il suo famoso epitaffio risale al lontano 1962 (30). Ma il tema della morte
diventa esplicito nelle ultime opere, tanto che il suo editore francese le
propose di intitolare al tema una raccolta De
la mort sans exagerér (31), tratto dal titolo di una sua celebre composizione
pubblicata in Italia nel 1986 nella raccolta Gente sul ponte che comprende prevalentemente poesie su questo tema.
Sicuramente la scomparsa del suo amato secondo marito, lo scrittore Kornel
Filipowicz avvenuta nel 1990, ha successivamente creato le condizioni per una
ulteriore meditazione sul tema della transitorietà e sull’assenza (32). Il
collage con il grande teschio sembra dunque un tributo ironico al tema trattato
dall’Ecclesiaste nell’Antico Testamento (33), testo citato anche nel suo breve
discorso per il Nobel. Nel
discorso, come in una sorta di intervista impossibile, dopo aver affermato che
ciò che ha scritto l’Ecclesiaste è comunque cosa nuova “sotto al sole”, chiede
all’autore se ha qualche idea circa la sua prossima creazione, se intende continuare
qualcosa di già fatto o modificarlo e in maniera provocatoria gli dice «non
credo che dirai di aver già detto tutto». WS annuncia così la sua profonda fede
nella potenza creatrice della poesia e dell’arte. Il già detto e il già fatto possono
creare mondi spostandone anche di poco la prospettiva. Nella
raccolta Appello allo yeti del 1957
appare una delle sue poesie più famose, Nulla
due volte. Il primo verso recita: «Nulla due volte accade / né accadrà. Per
tal ragione / si nasce senza esperienza, / si muore senza assuefazione». L’impossibilità
che le cose accadano due volte in modo identico sembrano già essere l’antidoto
che il poeta ha contro la morte (34).
Infine,
come recita in Sulla morte senza
esagerare «Chi ne afferma l’onnipotenza / è lui stesso la prova vivente /
che essa onnipotente non è. // Non c’è vita / che almeno per un attimo / non
sia stata immortale. // La morte / è sempre in ritardo di quell’attimo. // Invano
scuote la maniglia / d’una porta invisibile. / A nessuno può sottrarre / il
tempo raggiunto.» (35). WS con acume
sembra parlare delle cose terrene come un gioco di forme, formalità,
atteggiamenti, luoghi comuni, ipotesi e aspettative ma come sempre visto da una
prospettiva ribaltata. La vita è comunque un gioco che vale la pena giocare.
Anche nel dubbio o forse grazie a quello.
NOTE (1) A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del
passato. La vita di Wisłava
Szymborska, ed.
it. a cura di A. Ceccherelli, Adelphi, Milano, 2015, p. 228. (2) Wisłava
Szymborska ha vissuto la sua giovinezza tra il regime nazista dopo l’invasione
del territorio polacco nel ’39 e quello comunista dopo la fine della seconda
guerra mondiale. Aderì al Partito Operaio Unificato Polacco (PZPR) dal 1950 al
1966. Le composizioni di quegli anni sono state in seguito oggetto di
riprovazione da parte di intellettuali contrari al regime. Negli anni ottanta
simpatizzò per Solidarnosc ma mai apertamente. (3) Biblioteca Europea Roma
13-27.6. 2013; Museo comunale di Gavoi 14.6-6.7.2014; S. Kudas, (a cura di), La fiera dei miracoli, Palazzo d’Accursio, Bologna
13-31.5.2016. (4) J. A. Jansen, End and Beginning Meeting Wisłava Szymborska, 55min., Paesi Bassi 2011; K. Kolenda-Zaleska, La vita a volte è sopportabile. Ritratto ironico di Wislawa Szymborska,
54min., Casagrande, Bellinzona, 2013. (5) M. A. Potocka, (a cura di), Wisłava Szymborska Kolaźe, catalogo mostra
presso MOCAK, Cracovia 2.2-13.4.2014. In questo catalogo sono riprodotti
centoventi collage ma pare che la poetessa ne abbia eseguiti migliaia nei
quaranta anni di creazioni.
(6) M.
A. Potocka, (a cura di), Wisłava
Szymborska Kolaźe, cit., p. 39.
(7) G. Dorfles, Il Kitsch, antologia del cattivo gusto, Mazzotta, Milano, 1990 [1968], p. 172.
(8) A.
Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., p. 48.
(9) A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., a p. 221 viene riportata un’affermazione di WS: «La mia raccolta non è certo grande, tuttavia credo di potermi qualificare come una collezionista». A p. 222 si racconta di quanto la collezione di cartoline abbia influenzato le sue poesie.
(10) R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, tr. it. L. Guarino, Bompiani, Milano, 2004 [1995], p. 33.
(11) W. Szymborska, Letture facoltative, ed. it. a cura di L. Bernardini, trad. V. Parisi, Adelphi, Milano, 2006, p. 180, ora in A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., p. 223.
(12) E. Grazioli, La collezione come forma d’arte, Johan & Levi, Monza, 2014, formato kindle, cap. III, pos. 391-404.
(13) G. Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, tr. it. S. Chiodi, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 40.
(14) P. Marchesani, Introduzione, in W. Szymborska, Opere, a cura di P. Marchesani, Adelphi, Milano, 2008, pp. XX-XXI.
(15) Cfr. il discorso che WS ha pronunciato alla cerimonia per il conferimento del premio Nobel.
(16) E. Grazioli, La collezione come forma d’arte, cit., cap. IV, pos. 613-626.
(17) M. Rusinek, On Understanding the Cut-and-Paste Cards, in M. A. Potocka, (a cura di), Wisłava Szymborska Kolaźe, cit., p. 9.
(18) Il limerick è una breve composizione nonsense di cinque frasi, AABBA, che nasce in Inghilterra a fine Settecento. In Polonia ebbe estimatori tra i poeti che come WS si dilettavano, a volte solo in privato, con queste composizioni ludiche. Nel 2003 è stato pubblicato in Polonia Filastrocche per bambini grandi con limerick e collage di WS. Cfr. A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., p. 87, 162, 227, 281; E. Lipska, Ricordo di un'amica, Wislawa Szymborska, in D. Bremer, G. Tomassucci, (a cura di), Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti, critici, Pisa University Press, Pisa, 2016, p. 59.
(19) G. Tomassucci, Sagge tautologie, in D. Bremer, G. Tomassucci, (a cura di), Szymborska, la gioia di leggere, cit., p. 127 e segg.; F. M. Cataluccio, Una festa dell’intelligenza e dell’ironia, in AAVV, La vita a volte è sopportabile. Ritratto ironico di Wislawa Szymborska, Casagrande, Bellinzona, 2013, p. 31.
(20) A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., p. 245.
(21) A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., p. 144.
(22) S. Balbus, Il mondo in ogni parte del mondo. Su Wisłava Szymborska, in A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., p. 177.
(23) W. Szymborska, Voltando pagina, in Letture facoltative, cit., p. 73.
(24) P. Marchesani, Introduzione, in W. Szymborska, Opere, cit., pp. IX-XXV; cfr. anche A. Bikont, J. Szczęsna, Cianfrusaglie del passato, cit., pp. 172-173.
(25) M. Baranowska, A Fragment of the Emperor from Heels to Knees, in M. A. Potocka, (a cura di), Wisłava Szymborska Kolaźe, cit., p. 41.
(26) M. Baranowska, A Fragment of the Emperor from Heels to Knees, in M. A. Potocka, (a cura di), Wisłava Szymborska Kolaźe, cit., p. 37.
(27) M. A. Potocka, (a cura di), Wisłava Szymborska Kolaźe, cit., pp. 64-69.
(28) S. BourassovskiJ, A. Levrentiev, Il fotomontaggio nel periodo sovietico 1917-1950, in L’utopia della visione, fotomontaggi sovietici 1917-1950, cat. mostra Roma, Museo di Roma-Palazzo Braschi, 23.6-19.9.2004, Gangemi, Roma, 2004, p. 12.
(29) S. BourassovskiJ, A. Levrentiev, Il fotomontaggio nel periodo sovietico 1917-1950, cit., p. 13.
(30) W. Szymborska, Nagrobek (Epitaffio), in Sól (Sale), 1962, ora in W. Szymborska, Opere, cit., p. 152.
(31) W. Szymborska, De la mort sans exagerér, Gallimard, Paris, 1996.
(32) W. Szymborska, Koniec i początek (La fine e l’inizio), 1993, ora in W. Szymborska, Opere, cit., pp. 494-563.
(33) Dal prologo dell’Ecclesiaste: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet / vanità delle vanità, tutto è vanità. / Quale utilità ricava l’uomo da tutto l'affanno / per cui fatica sotto il sole?”
(34) W. Szymborska, Nic dwa razy (Nulla due volte), in Wołanie do Yeti (Appello allo Yeti), 1957, ora in W. Szymborska, Opere, cit., p. 47.
(35) W. Szymborska,
O śmierci bez przesady (Sulla morte senza esagerare), in Ludzie na moście (Gente sul ponte), 1986, ora in W. Szymborska, Opere, cit., p. 431. Home page Indice collage di W. Szymborska |