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Gian Pio Torricelli
  COAZIONE A CONTARE

Lerici Editore, Roma, 1968



Il libro di Gian Pio Torricelli, nato nell'ambito dell'esperienza del Gruppo 63, contiene, esposti in forma letterale (cioè scritti così: uno due tre ecc.), i numeri da uno a cinquemilacentrotrentadue, e va avanti così, per 75 pagine non numerate, fino a cinquemilacentrotrentadue, numero ripetuto a singhiozzo per tutta l'ultima pagina, più un ulteriore cinque che chiude il volume, in realtà lasciandolo così aperto.



[prima pagina del libro Coazione a contare]


[ultima pagina del libro Coazione a contare]

Il libro si apre con questa nota attribuita a K. Jürgen Von Fuerbach (probabilmente redatta dallo stesso Torricelli):

A soli 25 anni Gian Pio Torricelli è forse l'unico esponente garantito di quell'ultimissima e un po' fantasmatizzata generazione letteraria che, al di là dell'avanguardia ormai regolarizzata del Gruppo 63, vorrebbe finalmente orientare tutti i suoi sforzi, a scanso d'ogni utopia ideologico-linguistica, intanto in opposizione dell'industria culturale e dei mass-media, per poi potersi rivolgere davvero verso le dimensioni future della comunicazione. «La borghesia che sta oggi al potere» ha scritto recentemente Torricelli «si serve egualmente dei protestatari e dei consenzienti, dell'arte cosiddetta sperimentale e della comunicazione di massa per persuadere la borghesia che non è al potere a piacersi».

E sarebbe proprio questa, a suo avviso, la prima casualità d'ogni immobilismo presente.

In tale intransigente apposizione si riflette, peraltro, pure la natura spiccatamente irriducibile e provocatoria del suo lavoro che, col programmarsi come un anti-mondo dell'intrattenimento letterario, riesce anche ad esimersi completamente da quel puerile conio di eversioni esaustive e di catabolie linguistiche sempre più ordinario nell'ambito meno autentico delle avanguardie ove, consimilmente alla arte tradizionale, si tende pur sempre ad organizzare, stilisticamente o non, delle poetiche.

Al contrario, quella di Torricelli è un'istanza assolutamente funzionale: è un'apologia della simulazione artistica oculatamente esemplarizzata nella caricatura tautologica che è propria al procedimento dell'enumerazione e, in altri termini, alla coazione a contare come cerimoniale ossessivo-coatto; o come nesso nevrotico specifico della freudiana «coazione a ripetere»: qui ipobolicamente eletta quale unica ipostasi canonica d'ogni fenomeno ideativo.

Tale esito thanatosico abolisce l'epopea narrativa appunto col darla per estendibile all'infinito; cosicché il romanzo - il genere culturale - diviene allora un'istituzione suicida, e il fare artistico una sublimazione caratteriale impotente. Ed è proprio in ragione di questi indispensabili paradossi che lezione di Torricelli si sconta come una sana eutanasia dell'arte.


C'è poi una introduzione dello stesso Torricelli, volutamente sconclusionata, termine che riprendo da un noto libro di Giorgio Manganelli che durante una tavola rotonda con altri scrittori, pubblicata su L'Espresso nel 1986, citò, per altro senza nominarlo, Torricelli. Ecco cosa scrive Torricelli:


"Se vuoi che t'aprano, conta fino a cinquemilacentotrentadue, ma non chieder mai permesso."

 

 

Coazione a contare è un'orazione autoctona (tanto, che ormai candisce) a favore d'una definitiva implosione dell'ideatività artistica o, almeno, è uno sleale contributo alla liturgia attraverso cui si sterilizza oggi l'invenzione libresca: seppure eufemismo segretamente blasfemo o sgambetto mancato verso lo spettro paterno dell'industria culturale (ossia, ripulsa eternamente preventiva del seno buono, in previsione che s'incattivisca, per un'elaborazione paranoica della fame); ma è anche un'economica e ipobolica parodia d'ogni determinazione psichica ed epistemologica, d'ogni finzione ludica o cerimoniale. Cosicché, per scontarla, sembri intanto desiderabile diventare la propria trappola, e non eluderla con l'alludere, al di là della maniera, alle infinite maniere dell'ermeneuticizzarla a chi ancora sostiene la noumenicità della coscienza. Poiché è forse così che ci è dato di assistere a una - come dire? - prometeica peregrinazione delle zone eronee del predicatore, attraverso l'esperito aforisma bruniano con cui "Sicuramente possiamo affirmare che l'universo è tutto centro o che il centro dell'universo è per tutto", o magari affabularci attorno a un qualsiasi Nirvana persino dove ci è pluralis maiestatis?! Oppure l'ordigno che ti cambia l'errore in esattezza è forse ove scopri in un povero senso stretto una ricca latità di significati o, comunque, ov'è abbastanza nocumentata la sacralità della natura c'è differenza tra il neneismo e la dicotimia?! E preferisci che la lingua sia una creatura androgina o che il signifer caudalis e il liber scriptus proferetur in quo totum continetur sia, estaticamente o non, un'implicazione eubolica incestuosa?!

E se una prevalenza della sensibilità tattile durante la tua fase ontogenetica sintetizza lo stato oloneultico del plasma stellare e prelude a un'ipotesi di vita in cui, tra eccesso epischesico e neolalìa, l'incube della salvazione coatta della persona materna t'impone istericamente un'uterina simulazione schizofrenica dov'era un mare rimosso da un Super-Io maniaco-depressivo, potrai suonare a orecchio che il soggettivismo biologico del protozoaro sta alla sua moltiplicazione organizzata in un modello fisiologico, come l'individuo odierno tende ad annullarsi in un neo-plasma ecumenico?!

Eppure, anche ora tale interiezione pazientemente interrogativa puoi dirla proiezione animista, fotostatica d'una vaga ciclotimia vegetale entro un sogno d'eugenemi o paradossalità olovoca dell'impostazione junghiana: e la coazione starà tutta nel connettere alla condizione del potere (e alla sua relazione cabalistica dovere) col commento del riserbo che, nella sua regione alchemica, circonda il grumo neuronico del problema e del fatto?! (Eh, se ora tu la potessi già configurare come restrizione di campo, cappello amniotico e copula erezionale!) Ma la risposta sarà in parte, e purtroppo, nelle caratteristiche ipodomiche della descrizione delle pareti della stanza ove ti poni al sicuro, della pronuncia della riflessione di sapore namadico, della consacrazione di un limite oggettivo nel tuo soggettivo limitarti a consacrare, e dell'immondo complotto che cerchi nel confronto statistico delle diverse misurazioni delle onde herziane che vivificano, una per volta, le delicate sinapsi delle tue pulsioni copro-necrofile. O se lo vuoi non leggi più a te stesso, fino a farti raggiungere addirittura un paragone ipostatico delle strutture di quel perenne rinvio che sta, ad esempio, alla riproduzione partenogenetica di un altro "ad esempio", quanto quest'ultimo è muco sull'apostrofo, o s'equipara all'identificazione di Mercurio con Ciborg, o meglio, alla sua prolificazione formulativa, in un esauribile rapporto omologico, di un residuo gastronomico dell'esemplarità che qui può anche dimostrare - per dirlo con Grifi - quanto il cervello sia solo un bel cancro dello stomaco.

E adesso, che COAZIONE A CONTARE sia COAZIONE A CONTARE è già qualche cosa di più che una pura e semplice tautologia: dacché che cos'è in definitiva un linguaggio (o la sua funzione) se non una tautologia epistemotipica, rispetto ai suoi comunicandi ante-linguistici?! O la letteratura non è forse un'allegoria pornografica della millenaria censura operata dalla civiltà sugli istinti biologici, tramite quella grandiosa trappola rimozionale che è stata ed è la nostra cultura?! E in sostanza, chi vuol dire una volta per tutte che la nostra cultura è un'inutile, tombale atarassia, una tragica ripetizione e un vuoto recipiente del vivere o, quasi, un'alimica illusione, allestendo la quale vi sembra talvolta di opporvi all'inconvertibile orientamento dell'evoluzione filogenetica in uno stratificato, farsesco concorso di segregazionismi e museificazioni, di situazioni, appunto, ossessivo-coatte?!

Così, a chi desidera travalicare ogni irresponsabilità o cautela e travasare decisamente in esclusive affermazioni tali istanze indirette, sarà lecito allora estendere alla storia la facile profezia clinica per cui è spesso naturale progresso e regresso di una nevrosi ossessivo-coatta l'esito (finale?) dello stupore catatonico: da malintendere poi come una dichiarazione di poetica.



Fonte: Gian Pio Torricelli, Coazione a contare, collana marcalibri a cura di Magdalo Mussio, Lerici Editore, Roma, 1968.


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