UN MONDO
PEGGIORE
È POSSIBILE.
SEI PERLE DALLA TRISTE
SCIENZA
di
Ernesto Screpanti
Odradek, 2006
Dalla quarta di copertina del libro:
"Libro
umoristico, se si vuole, in cui un economista di
tutto rispetto come Screpanti comincia a tirar fuori paradossi dalla
propria
disciplina e s’inventa l’ironiconomia offrendo al lettore la
propria
critica, portando all’assurdo teoremi e assiomi. E così scopre
la
produttività del paradossso, ma anche il paradosso della
produzione
capitalistica. L’ironia di Screpanti sembra una parodia swiftiana, ma
gli
scenari e gli strumenti usati sono attuali e scientifici; così
la
schiavitù volontaria diventa l’unico rimedio alla
disoccupazione,
l’estinzione dello Stato viene affidata a un monarca anarchico, le
elezioni
affidate ad un unico elettore: quello mediano, mentre la vera
democrazia
è rappresentata dalla dittatura".
Il libro
contiene il saggio "Una modesta proposta per risolvere
alcuni problemi di democrazia" apparso sul numero 15 di Tèchne
(pp. 67-73) che qui riproduciamo.
Una modesta proposta
per risolvere
alcuni problemi della
democrazia
Come
è noto, la democrazia produce certi
problemi di carattere economico che attengono sia alla sfera della
razionalità
che a quella dell’efficienza e che la scienza sociale non è
riuscita
a risolvere né in teoria né pratica. In questo saggio
presenterò
alcuni dei più rilevanti di tali problemi per poi avanzare una
proposta
che sembra risolverli tutti nel modo più semplice ed efficace.
I PROBLEMI
L’inefficienza paretiana
La
democrazia presuppone l’esistenza dei partiti,
i quali però generano dei costi sociali che riducono
l’efficienza
del sistema economico. Un partito deve sopportare due tipi di costo: di
mantenimento, che sono quelli necessari per la sopravvivenza dei
politici
e dell’organizzazione, e di propaganda, che sono quelli necessari per
informare
gli elettori del programma politico. È evidente che si
può
migliorare l’efficienza del sistema riducendo il numero dei partiti. Se
esistono n partiti e se ne abolisce uno, la collettività
eliminerà
i relativi costi in misura tale da poter compensare i leader del
partito
abolito (pagandogli una rendita equivalente ai costi di mantenimento) e
riuscendo a risparmiare almeno i costi di propaganda. Questo è
indubbiamente
un miglioramento di efficienza. Se n-1 partiti sono meglio di n, allora
1 è meglio di 2. Ma sembra che due partititi siano il requisito
minimo per conservare una parvenza di democraticità al sistema
politico.
Quindi un apparato democratico è necessariamente inefficiente.
Il paradosso dell’elettore razionale
L’elettore
razionale va a votare solo se i benefici
che trae dal voto superano i costi. I benefici di un elettore sono dati
dal vantaggio economico che egli otterrebbe se vincesse il partito a
cui
ha dato il voto, moltiplicati per la probabilità che questo
vinca
a causa del suo voto. I costi sono la somma delle spese sostenute per
raccogliere
le informazioni, per recarsi al seggio elettorale etc. Se il numero
degli
elettori è sufficientemente alto, i costi saranno sempre
superiori
ai benefici per ogni elettore. Quindi nessuno andrebbe a votare.
Facciamo un esempio. Se uno si aspetta che
la vittoria
di Berlusconi gli farà risparmiare L. 40.000.000 di tasse, e se
esistono 40.000.000 di elettori, il beneficio del voto per lui
sarà
pari a 40.000.000/40.000.000 = 1 Lira, la probabilità di far
vincere
Berlusconi col suo voto essendo pari a 1/40.000.000. Una lira è
senz’altro inferiore ai costi del voto. Perciò questo elettore
non
andrà a votare. E così faranno tutti.
Ma se nessuno andrà a votare, la
probabilità
di far vincere Berlusconi con un voto diventerà pari a 1. Allora
diventerà conveniente andare a votare. Così faranno in
molti.
Perciò quella probabilità si ridurrà.
Esisterà
dunque una percentuale massima di votanti (e una percentuale minima di
astensionisti) che renderà razionale la decisione di andare a
votare
per alcuni elettori. Quella percentuale sarà tanto più
bassa
quanto più alto è il numero dei cittadini che hanno
diritto
di voto e quanto più basso è il numero dei cittadini che
ottengono vantaggi sostanziosi dal voto. Voteranno inoltre solo gli
elettori
più ricchi, che sono quelli che ottengono i massimi vantaggi dal
voto. Infatti i partiti delle classi privilegiate massimizzano i
benefici
dei ricchi, aumentando in tal modo il numero dei cittadini poveri a cui
non conviene andare a votare. Ciò spiega perché nei paesi
più avanzati, popolosi e razionali, come gli USA, la percentuale
dei votanti è molto bassa.
Il teorema di impossibilità di Arrow
Si sa che,
poiché non è possibile
fare confronti interpersonali di utilità, non è legittimo
sostenere che si devono tassare i ricchi per sussidiare i poveri. Le
scelte
sociali devono essere formulate attraverso una procedura elettorale
basata
sulla regola della maggioranza, non essendo ammissibile che esse
riflettano
le preferenze dei politici o di un dittatore piuttosto che quelle dei
cittadini.
E non è detto che tutti i cittadini siano d’accordo sul tassare
i ricchi per sussidiare i poveri.
Le scelte devono essere coerenti. E lo saranno
se, tra
l’altro, sono transitive. Ciò vuol dire che se io preferisco x a
y e y a z, non posso poi preferire z a x. Ebbene si dimostra che, anche
se le preferenze dei cittadini sono coerenti, è possibile che
quelle
collettive emergenti da una votazione democratica non lo siano. Un
semplice
esempio può servire a illustrare il caso. Poniamo che il
cittadino
A preferisca più ospedali (x) a più scuole (y) e
più
scuole a più carri armati (z); che B preferisca y a z e z a x ;
e che C preferisca z a x e x a y. Le preferenze individuali sono
cioè
distribuite nel seguente modo:
Se le alternative
vengono votate a coppie può accadere
una cosa strana. Mettendo ai voti l’alternativa x-y, la maggioranza
verrà
ottenuta da x, che riscuote il consenso di due elettori su tre,
cioè
quello
di A e di C. Se poi si mette ai voti l’alternativa vincente,
cioè
x, contro z, vincerà z, essendo questa preferita dai due
elettori
B e C. Ma se si fosse messa ai voti l’alternativa y-z, avrebbe vinto y,
essendo preferita da A e B. Le scelte sociali avrebbero la seguente
caratteristica:
x è preferita a y e questa è preferita a z. Dunque x
dovrebbe
essere preferita a z. Invece z è preferita a x, il che è
incoerente.
In queste condizioni è possibile
manipolare
il voto. Poniamo che A sia il presidente del parlamento e possa
decidere
l’ordine di votazione. Dato che preferisce x sopra ogni altra
alternativa,
vorrà far vincere questa. Per ottenere ciò basta che
metta
ai voti dapprima z contro y. Vincerà y. Poi farà votare y
contro x, facendo così vincere x, proprio ciò che voleva.
Si potrebbe allo stesso modo dimostrare che, se il presidente fosse B,
non gli sarebbe difficile ordinare le votazioni in modo da far vincere
le sue scelte. Lo stesso varrebbe per C.
Il teorema di impossibilità di Arrow
comporta
che non è sempre possibile determinare democraticamente scelte
sociali
che siano coerenti anche in presenza di preferenze individuali che lo
sono.
Ma dimostra che è tuttavia possibile ottenere scelte sociali
coerenti,
purché si accetti il dominio di un dittatore. Infatti se A
è
un dittatore, avrà il potere di definire le preferenze sociali
come
coincidenti con le proprie. Siccome queste sono coerenti, anche quelle
sociali lo saranno.
Più in generale si può dire
che il
teorema in questione porta alla luce il seguente inquietante risultato:
non è possibile costruire un sistema politico che sia allo
stesso
tempo razionale, democratico e neutrale rispetto ai giudizi di valore.
Il teorema dell’elettore mediano
Poniamo che
su una determinata questione, come ad
esempio l’aumento della spesa pubblica, ci sia una certa divergenza di
opinioni tra i cittadini, con un piccolo schieramento di estrema destra
(che non vuole nessun aumento), un piccolo schieramento di estrema
sinistra
(che ne vuole uno molto forte) e un grosso schieramento moderato (che
vuole
un piccolo aumento). Ci sarà un elettore, appartenente allo
schieramento
moderato, che avrà alla sua sinistra il 49,99% di elettori e
alla
sua destra l’altro 49,99% di elettori. Questi è l’elettore
mediano.
Se esistono due partiti, uno di centro-sinistra e
uno
di centro-destra, entrambi per vincere le elezioni dovranno
accaparrarsi
il consenso dell’elettore mediano. Perciò presenteranno entrambi
dei programmi moderati. Quale che sia il partito vincitore, alla fine
prevarrà
l’opinione dell’elettore mediano. Il che potrebbe essere considerato un
risultato democratico, visto che né l’estrema destra né
l’estrema
sinistra avrebbero ottenuto la maggioranza da sole. Invece un partito
di
centro-destra o uno di centro-sinistra incarnerebbero in un certo senso
le opinioni che riscuotono il consenso del più gran numero di
elettori.
Poniamo però che le opinioni dei cittadini
siano
fortemente divaricate, con un grande schieramento di estrema destra, un
grande schieramento di estrema sinistra e un piccolo schieramento
moderato.
L’elettore mediano appartiene ancora allo schieramento moderato, ma i
partiti
che cercassero il suo consenso perderebbero molti voti sulle loro ali
estreme.
Ciò consentirebbe la nascita di due nuovi partiti, uno di destra
e uno di sinistra, e probabilmente indurrebbe i due partiti moderati a
fondersi in un unico partito di centro. Quest’ultimo comunque non
riuscirebbe
a raggiungere la maggioranza da solo. Perciò dovrebbe allearsi o
con il partito di sinistra o con quello di destra, producendo dei
programmi
che sono meno moderati di quello che soddisferebbe l’elettore mediano.
Ciò da origine a tre ordini di problemi:
1) essendo aumentato il numero di partiti
si è
ridotta l’efficienza economica;
2) poiché il programma della
coalizione
vincente sarebbe un compromesso a cui ha partecipato un partito
estremista,
la volontà collettiva sarebbe presumibilmente dominata da
opinioni
che non riscuotono il consenso della maggioranza;
3) l’insoddisfazione dell’elettore mediano
indurrebbe
il partito di centro a ribaltare continuamente le alleanze, generando
forte
instabilità politica.
In altri termini, se l’elettore mediano
appartiene
a una massa moderata minoritaria, il sistema politico diventa meno
efficiente,
meno democratico e più instabile.
Propongo di
sperimentare un sistema elettorale in
cui il suffragio elettorale sia ristretto a un solo elettore, quello
mediano.
In questo modo si risolverebbero tutti i problemi.
Infatti, se la competizione elettorale deve
mirare ad
accaparrarsi il consenso di un solo elettore, non potrebbero esistere
più
di due partiti. Inoltre questi sarebbero partiti snelli, e i costi di
propaganda,
così come gran parte dei costi di mantenimento, verrebbero
minimizzati.
Ciò risolverebbe nel modo migliore possibile il problema
dell’inefficienza
economica.
Poi, visto che la probabilità di far
vincere un
partito con un solo voto sarebbe pari a uno, i benefici del voto
sarebbero
comunque superiori ai costi, per l’unico elettore. Ciò
risolverebbe
il paradosso dell’elettore razionale.
Inoltre l’unico elettore potrebbe imporre alla
collettività
le proprie preferenze, cosicché le scelte sociali risulterebbero
coerenti se lo fossero quelle dell’elettore. È vero che questi
si
comporterebbe come un dittatore, ma, poiché incarnerebbe le
opinioni
mediane, cioè quelle che prevarrebbero in una elezione
democratica
con suffragio universale, la dittatorialità sarebbe puramente
apparente.
Si affermerebbero comunque solo le opinioni che riscuoterebbero il
maggior
consenso dei cittadini. E non solo sostanzialmente, ma anche
formalmente
verrebbe salvaguardata la democrazia, visto che esisterebbero due
partiti
e che la loro vittoria sarebbe assicurata attraverso un meccanismo di
voto.
Infine è evidente che in presenza di una
forte
divaricazione dell’opinione pubblica gli elettori estremisti, non
potendo
votare, non riuscirebbero a imporre la loro volontà, con grande
vantaggio per la sopravvivenza della democrazia. Né il sistema
politico
sarebbe sottoposto a spinte destabilizzanti, dal momento che i partiti
moderati non sarebbero costretti ad allearsi con dei partiti
estremisti.
Ciò risolverebbe il problema dell’elettore mediano quando la
massa
moderata è minoritaria.
Si pone la questione di come individuare
l’elettore mediano.
Ma si tratta di un problema minore, che può essere risolto con
vari
espedienti.
Uno dei quali potrebbe consistere nel sottoporre
ai cittadini
un questionario in cui gli si chiede di esporre la propria opinione su
vari temi di rilevanza politica, imponendogli di riconsegnare il
questionario
insieme alla dichiarazione dei redditi. Un computer potrebbe poi
estrarre
l’elettore il cui questionario rivela l’opinione mediana.
La procedura, col tempo, potrebbe anche
essere
semplificata. Se risultasse che l’opinione è funzione crescente
del livello del reddito, si potrebbe attribuire il suffragio elettorale
al contribuente mediano, con grande risparmio di questionari.
Un’altra semplificazione potrebbe essere
quella
di attribuire il suffragio al cittadino di età mediana. Se
è
vero, come è vero, che i vecchi sono in media troppo
conservatori
e i giovani troppo rivoluzionari, sembrerebbe legittimo assumere che le
opinioni sono una funzione decrescente dell’età.
Infine c’è la possibilità di
tener
conto del quoziente intellettuale. È noto infatti che il livello
d’intelligenza individuale è strettamente collegato alle
opinioni
politiche. Si cita spesso i casi di Bossi, Prodi e D’Alema per
illustrare
la teoria secondo cui l’intelligenza aumenta in modo continuo verso
sinistra
e diminuisce verso destra (anche se alcuni hanno sollevato dubbi sul
modo
di interpretare questo esempio, e non solo per quanto riguarda la
direzione
in cui cresce il quoziente intellettuale). Comunque sia, se la teoria
fosse
valida basterebbe attribuire il diritto di voto al cittadino di
intelligenza
mediana.
A voler essere cauti, si potrebbero poi
combinare
i vari espedienti, scegliendo un elettore che sia allo stesso tempo di
età, di ricchezza, d’intelligenza e di opinione mediana. Nel
qual
caso la scelta ricadrebbe certamente su Francesco Rutelli, e si
potrebbe
risparmiare anche sul costo del computer.
Ernesto Screpanti insegna Economia politica
all’Università
di Siena. Tra le sue pubblicazioni più recenti: The
Fundamental
Institutions of Capitalism, Londra Routledge, 2001; Profilo di
storia
del pensiero economico (2 voll., con E. Zamagni), Roma Carocci,
2004;
Il
capitalismo. Forme e trasformazioni, Milano Punto Rosso,
2006.
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