GIORGIO MANGANELLI E GASTONE NOVELLI. PAROLE ALLE IMMAGINI E IMMAGINI ALLE PAROLE.
Lettera di Giorgio Manganelli a Gastone Novelli (dattiloscritta e senza data) Caro Gastone, quando compilai quel mio libercolo tanatocentrico, lo
collocai accanto ai laboriosi manualetti che insegnano nei pigri pomeriggi
domenicali, a coltivare, fiori, addestrare bracchi da sangue, e apprezzare
vecchie monete; lo proposi ad un pubblico esiguo e iracondo come do-it-yourself
per l’apprestamento di un ordigno insieme ovvio e di temeraria complessità,
idoneo ad un attentato per il più improbabile, il più elusivo dei seviziatori.
Ma era anche altro: un bedaeker che intendeva, con
ragionevole modestia, additare e in parte chiosare talune bellezze dell’Ade,
aggiungendo notiziole atte ad invogliare il turista, su certe disagevoli
grazie, e le sedi per innocenti e meno innocenti gallerie, e gli estri degli
indigeni: cosicché se, come dicono accada, taluno ne risalga, abbia cose
ghiotte da narrare ai rancorosi sedentari. Tuttavia qualcosa mancava, e me ne crucciavo; mancavano i
colorati sensuali cartelloni, i lusinghieri segnacoli che rendono tattile e
odorabile e masticabile il luogo in cui ci invitano. Una gonna nella giravolta
del fandango ci fa esplodere nelle orecchie nacchere afrodisiache; un verde
fiume ci suggerisce umidi, muffi indugi; birra e baffi, stivaletti e grembiali
fioriti, colonne infrante e di schiena perfetta, cosce lunghe, capelli slavati:
non v’è luogo, sulla terra peritura, che non inalberi un blasone ignobile e
sgargiante. E l’Ade? Eccoli: i tuoi cartelli sospingono il turista perplesso
sulla propria destinazione verso una regione che veramente più di ogni altra lo
attende. E’ un invito sapiente, di rari suoni essenziali, ben custoditi da
cauti spazi bianchi. Ed ecco la bella e bizzarra fauna, gli orbetti, i
vipistrelli, i rospi (di ruspa), le serpi amiche – ma quaggiù tutto è amico; e
i vegetali falansteri, le tane fastose, e le nobili, anche se sommarie dimore.
E brevi mappe fitte di frecce direzionali, di incredibile giovamento al candido
curioso. Ora la conosciamo, quella regione inospite e balneare;
sappiamo quali raffinate e isteriche (improbabili) delizie attendono colui che,
vestito della ridicola ma comoda teletta dei viaggiatori, si inoltrerà per i
suoi eccitanti, ma talora imperfettamente illuminati meandri. La ‘incipiente liberalizzazione ipnagogica’ indica il
disorganizzarsi della personalità, nella imminenza del senno: l’io perde il
controllo, in larga misura sempre fittizio (‘la mediocre prestidigitazione
della continuità’), sulle parti componenti la persona, e queste diventano
autonome; ci si imbatte nelle proprie mani, cioè si notano e riconoscono come
altro da noi; diventate, durante le nostre giornate coscienti, complici delle
nostre violenze e astuzie, le mani sono ora libere, si rivoltano, anzi, e
prendono possesso dell’io; sicarie e ruffiane, impongono la loro splendida
iniquità all’io affranto (‘compilano l’ideologia delle unghie’).
Manganelli scrive di Novelli
Molti tratti ammiravo e rammento nella qualità
mentale di Gastone Novelli: la febbrile alacrità inventiva, la velocità
dell’intelligenza tattile, la capacità di fissare in un gesto apparentemente
precipitoso e in realtà sottilmente predisposto i frammenti di una impetuosa
visione. Novelli sembrava procedere da una abbagliante epifania, e su questa
operare decomponendola, scheggiandola, sottoponendola ad una pressione
centrifuga; così che la visione, scissa e dilatata, non si poneva più come una
compatta e minatoria presenza, ma come una immagine rotta e riflessa, in
dialogo con se stessa, restituita alla propria iniziale drammaticità, anche
alla propria naturale, o innaturale, ironia. Nel gesto di Novelli si
mescolavano singolarmente una accanita rapidità di invenzione, e una
meticolosa, labirintica elaborazione; era, il suo tratto, qualcosa di
impossibile: un viluppo nitido, una catastrofe attenta, un’esplosione
meticolosa.
Della Hilarotragoedia – di cui rivedo con
turbamento gli antichi disegni – lo divertirono gli aspetti fatuamente
orrorosi; gli piacque giocare con parole che generavano immagini insieme
ridevoli e mostruose; amando il gioco – il suo rigore, la sua avventurosa
libertà – Novelli amava gli indizi del mostruoso, del deforme, di tutto ciò che
univa teratologia e ironia; ma, ancora la sua ironia nulla aveva di
calcolatamente conversativo , ma piuttosto il sapore di uno scherno e scherzo,
l’indizio di una sapienza fatale e infantile. Non v’è immagine disegnata da
Novelli, tra quante ricordo, nelle quali non si riconosca questa stravagante e
impetuosa vocazione ludica, e insieme una difficile e alacre saggezza, una
intuizione ingegnosa e ardua, allusiva ed enigmatica. Novelli amava gli enigmi,
perché gli enigmi sono insieme sapienza e gioco, perché richiedono astuzia e
fulminea intelligenza, sono antichi e infantili: e Novelli era appunto arcaico
e iniziale, un esempio affascinante di puerizia sapiente. Irrequieto, ilare e
disagevole a se stesso, inseguito da una dinamica mercuriale, Novelli era destinato
e condannato e privilegiato da una definitiva giovinezza, un perenne stupore
iniziale, stupenda cicatrice di una intelligenza pittorica folgorante.
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