BISOGNA UCCIDERLI! Mi hanno colpito, devo
dire, alcune analogie sin
troppo evidenti nei caratteri e nei comportamenti delle due famiglie
zoologiche: Lemmi e Bambini. Per verificarle, basterà
trascegliere e ordinare in modo acconcio le notizie che riguardano i
primi. Si vedrà che esse offrono una vera e propria sinossi
caratteriologica del cucciolo umano nelle sue specificazioni più
inquietanti, individuali e di massa. I Lemmi, infatti, sono di mole mezzana e di corporatura
molto compressa. Avanzano a terme, sempre diritti, senza che alcun
ostacolo li faccia deviare. Saltano i muri. Penetrano nei luoghi
abitati distruggendo tutto quello che trovano sul loro passaggio.
Disturbano i pescatori. Inseguiti, si dimostrano abilissimi nel
nascondersi. Se un uomo capita in mezzo a loro, non si scostano, ma gli
passano, potendo, fra le gambe. Non si tagliano le unghie dei piedi
davanti cioè delle mani, presumibilmente sempre sporche di terra
e di escre menti. Gente del luogo crede che scendano dal cielo con gli
acquazzoni: favola assai diffusa in ogni paese con deboli
varianti anche a proposito dei luoghi di origine e di smistamento dei
nati di donna e largamente adibita in sede di educazione sessuale.
Anche nel convincimento che la prole, meglio se numerosa, sia sempre
una “benedizione del cielo,” l’idea negativa del nubifragio si
rispecchia col segno positivo di un’acqua benefica e blandamente
erogata. Infine, come i bambini, specie italiani, moltissimi Lemmi affogano negli stagni o vengono uccisi per
strada.
Queste analogie, dicevo, questi riscontri fra Lemmi e Bambini mi hanno colpito, e mi sono chiesto se non sia il caso di promuovere fra gli studiosi una ricerca comparata per accertare se gli esiti letali delle trasmigrazioni dei primi, analizzati in ogni loro componente, non possano offrire qualche utile suggerimento per la soluzione che io verrò proponendo e caldeggiando a proposito dei secondi. Perché ormai non si può continuare a tenere la testa nella sabbia. I tempi maturano. Non basta legare i bambini alla sedia, drogarli o chiuderli nel cesso. Non serve tappar loro la bocca o il sedere con il cerotto o con la plastilina. Non vale immettere corrente ad alta tensione nelle strutture metalliche di recinzione dei giardinetti e dei terreni edificabili, né chiudere a doppia mandata l’uscio del salotto buono. Bisogna ucciderli. E poiché le mezze misure, quando urgono provvedimenti radicali, lasciano il tempo che trovano e scontentano tutti, è bene precisare: tutti i minorenni dagli anni zero ai quattordici. Esenzioni potranno essere concesse semmai, caso per caso, in favore dei subquattordicenni già immessi nelle attività produttive (in Italia, circa mezzo milione di unità in tutto!). Perché se agli albori del capitalismo il lavoro dei fanciulli era considerato “indivisibile dalle condizioni della grande industria e della libera concorrenza sociale e internazionale” (vedasi il rapporto Correnti al Congresso degli Scienziati in Milano, 1844), lo stesso può dirsi ancor oggi, presso di noi, per l’agricoltura, per il settore terziario e per un gran numero di piccole aziende. Inoltre, l’età puerile, sia per l’efficacia repressiva e formativa del carattere che è propria del lavoro subordinato, sia per la petulanza dei minori, sempre smaniosi di far vedere che non sono da meno degli adulti, comporta normalmente che neppure ai peggio conformati rimangano, nel tempo libero, energie e malvolere sufficienti per imprese o disegni socialmente pericolosi. Per il resto, che i bambini siano di troppo è cosa che salta agli occhi. Basta guardarsi intorno per capire che nelle nostre città, come nelle nostre case, non c’è posto per loro: non vi sono spazi, né ambienti, né recessi dove ad essi sia dato di esplicare senza danno la loro naturale turbolenza, la loro vocazione allo schiamazzo e alla distruzione. Le statistiche parlano chiaro: uno stato di crescente congestione, nel quale la presenza di milioni di esseri irrequieti, piccoli, mobilissimi e imprevedibili si risolve in una diuturna prevaricazione a tutto discapito delle funzioni, dei bisogni elementari e dei diritti inalienabili di noi adulti. Né valgono a ristabilite un certo equilibrio le pause che ci vengono elargite nei quotidiani intermezzi di segregazione scolastica. Negli asili, come nelle scuole elementari e medie, nei nidi d’infanzia, i bambini stanno fermi, è vero, sono rinchiusi e, per alcune ore di ogni giorno feriale, il patrio territorio può dirsi passabilmente protetto dalle loro incursioni. Ma intanto, nella quiete apparente, essi programmano rivalse, accumulano cariche dirompenti di portata incalcolabile, apprestano, per te ore di libertà, guasti maggiori. Non siamo contro le istituzioni scolastiche. Anzi stimiamo che l’addestramento della popolazione infantile allo stivaggio in luoghi preordinati e costanti potrà facilitare grandemente la Soluzione Finale del problema sia sotto gli aspetti strategici e tecnici, sia sotto il profilo della minore spesa. Si è già constatato più volte come il crollo casuale di un edificio basti a neutralizzare d’un tratto e definitivamente decine e decine di codesti baroncelli: un’operazione rapidissima e a costo relativamente irrisorio (pari al valore di un solo edificio, spesso già fatiscente, come tanti ne abbiamo adibiti ad uso di scuola, di collegio, di orfanotrofio) e senza impiego di personale che non sia quel poco occorrente per la rimozione delle macerie e dei miasmi. Rafforzare la scuola, tallonare gli evasori, intensificare gli orari (perché quattro ore al giorno e non ventiquattro, con tanti docenti disoccupati che abbiamo?), sopprimere le festività, le vacanze, gli intervalli, le sospensioni, le assenze giustificate (la scuola a pieno tempo, insomma!); munire di inferriate le finestre e le porte, militarizzare il corpo dei bidelli e dei custodi. E al tempo stesso rendere generale e completa - e non parziale e discontinua come è - l’abolizione del riscaldamento. Col freddo, i discenti si stringerebbero l’un l’altro per sfruttare il calore animale, occuperebbero meno spazio e ben presto lo stare stretti si assocerebbe in loro con l’idea del benessere. La recettività delle aule ne risulterebbe raddoppiata e di molto semplificati i problemi logistici al momento decisivo. Queste le linee essenziali di un sano progetto di riforma (progetto ponte o di attesa), ben lontane purtroppo, oggi come oggi, dal poter essere recepite a livello governativo e parlamentare. Al contrario, voci dissennate si levano ognora a reclamare più scuole, più aule, più nidi, spazi verdi, palestre, creando diversivi al problema, disorientando le menti e avvelenando le coscienze. Ci si aspetterebbe dal governo un gesto, una parola ferma che ponesse fine a codeste urbanisticherie falsamente umanitarie, le quali esprimono interessi settoriali facilmente identificabili e lavorano a provocare un’inversione di tendenza. Perché la tendenza c’è! Fonte: Augusto Frassineti, Tre bestemmie uguali e distinte, Feltrinelli, Milano, 1969, pp. 14-19. Home page Archivio cartaceo |