Carlo Dossi
Alcuni scherzi dalle «Note azzurre» Della vita, metà è di desiderio, e metà d’insoddisfazione. La vita è una atroce burletta. Carlo Dossi, [Nota azzurra 3134] 3657. Il gen. Cerale ha una fama
burlesca nell’eserc. ital. – Di lui si narrano a centinaia gli ann[edoti]. -
Es. Sente che nella sua brigata si fa una colletta per un monumento a Giordano
Bruno – Chi l’è? domanda – “Un republicano”, gli si risponde – Ed egli: s’arresti
[…]. Cerale non voleva che si scaldassero gli uffici oltre un certo numero di
gradi e quando vedeva che il termometro li oltrepassava faceva aprire le
finestre e non le rinchiudeva se non allora che il mercurio fosse ridisceso al
grado voluto. – Un off. che pativa di freddo, pensò di sostituire il mercurio
del term. con un filo di carta d’argento che arrivasse soltanto al detto grado,
poi scaldò a tutta stufa la sala. Cerale entra – sbuffa – va al termometro,
guarda – e vedendo che il 10 non è oltrepassato, si contenta, e va via. Così si
seguitò per tutto l’inverno. E il bello è che in un giorno d’estate facendo un
diabolico caldo, Cerale guardò di nuovo il termometro e rimase stupito – e non
s’accorse ancora della burletta. 3704. Gorini discorrendo con una
signora sul posto dove le donne pongono prima gli occhi, guardando un uomo, e
dicendo la signora “la fronte” e Gorini altro luogo, fu fatta una scommessa. Il
dì dopo Gorini capitò dalla signora. La quale, arrossendo “ma che cosa l’ha lì,
signor Paolo”; e accennava alla brachetta di lui donde pendeva un peperone verde.
E Gorini ridendo: Mo perchè non ha guardato quì – e toccossi il cappello, dove
stava impiantato un peperone rosso […]. 4844. […] Fra i suoi parecchi
padroni di casa, Cremona [Tranquillo Cremona (1837-1878), pittore, amico di
Dossi] ne aveva avuto uno in via S. Paolo che essendo stato frustrato dell’affitto
andava dicendo che avrebbe fatto vedere chi era a Cremona. Cremona, udito ciò,
si recò dal detto padrone di casa, e girandogli intorno tutto inchini e
salamelecchi colse il destro, mentre lo assicurava che lo avrebbe presto
pagato, di pisciargli in tasca – Notisi, era di pieno giorno […]. Molte sono
poi le burle fatte da lui e dai suoi amici all’offellajo [pasticciere] Lazzaroni
sull’angolo di Via Monte Napoleone in faccia a via Durini. Il Lazzaroni s’era edificata
la facciata della sua casa nel peggior gusto possibile. Il piano terreno era
rivestito da parecchi filari di bugne che somigliavano in tutto ai bottoni.
Cremona e gli amici venivano a notte tarda dinanzi il caffè chiuso del
Lazzaroni ed appiccavano i loro cappelli e i loro soprabiti ai detti bottoni,
poi, facendo un baccano infernale, destavano il Lazzaroni, che venuto alla finestra
vedeva, colla più comica ira, la sua casa cangiata in un colossale attaccapanni
[…]. 5463. Alcuni amici pranzavano da un
parroco che aveva una bella serva e la voce correva che amoreggiasse con lei.
Il giorno appresso il parroco trova mancante una posata d’argento. Dubita uno
scherzo da parte di qualcuno dei convitati, capi bizzarri. Ridomanda la sua
posata. Gli amici credono che chi l’abbia presa sia un tale. Questi non nega, ma
afferma che non l’ha seco. Dirò, aggiunge, dove si trova, se il nostro parroco
ci darà un altro pranzo. Il pranzo è promesso e dato. Alle frutta il parroco
insiste nuovamente per riavere la posata. Dopo qualche scherma l’amico dichiara
che la posata non è uscita dalla casa del parroco e invita tutti a seguirlo.
Vanno in processione nella camera della bella serva. L’amico solleva le coltri
del letto e tra le lenzuola appare la posata. Da quindici notti vi giaceva in
tranquilla solitudine. Dove aveva intanto dormito la serva? Confusione di
questa e del parroco. Risa che non sono finite ancora oggi. 5600. I preti. Fare anche un
capitolo sui preti di spirito […]. Monsignor Bignami, canonico “ordinario”
della Metropolitana di Milano (ma assai fino d’intelligenza), amava far burle
dove passava. Una mattina, in un albergo svizzero, alzatosi di presta ora e scorgendo
sovra una tavola tutte le scarpe dei forastieri, pulite e pronte ad esser portate
dinanzi ai vari usci, le spajò, ricomponendo ogni pajo con scarpe diverse. Fu
una indescrivibile confusione tra i forastieri che non sapevano più calzarsi,
mentre il treno stava per partire. Nota Le Note azzurre rappresentano
l’opera più significativa di Carlo Dossi (1849-1910), tra i più importanti
esponenti della scapigliatura milanese. Le Note azzurre non furono curate
direttamente dall’autore bensì dalla moglie, Carlotta Borsani, che fece uscire
una prima edizione del volume nel 1912. Il titolo della
pubblicazione prende il nome da sedici cartelle di colore azzurro oltremare nelle
quali, come in una sorta di zibaldone leopardiano, Dossi tenne per oltre trent’anni
(dal 1870 al 1907) i suoi appunti di vario genere, raccogliendo un totale di
5794 aforismi. In questi
fogli, troviamo commenti di varia natura. Si va dalla storia italiana
(soprattutto su quella immediatamente successiva all’Unità d’Italia che il
Dossi visse in prima persona al fianco di Francesco Crispi) a quella su alcuni scrittori
post-romantici, con giudizi politici e letterari spesso spregiudicati, spunti
per novelle e romanzi mai scritti, aforismi, sarcasmi e ironie. Moltissime sono
inoltre le annotazioni autobiografiche con appunti personali di vita, sulla sua
passione per l’archeologia, su Corbetta, la villa di campagna dove visse gli
ultimi anni di vita, e sul Dosso Pisani, suo Vittoriale sul lago di Como. Nelle Note
azzurre vi sono alcuni aneddoti scabrosi e irriverenti su personaggi
illustri, censurati nell’edizione del 1912, come questo su Niccolò Tommaseo
(Dossi lo chiama “il dalmatino” perché Tommaseo era nato a Sebenico, città
della Croazia, nel 1802; morì a Firenze nel 1874): 4592. Tommaseo, egregio puttaniere. Manzoni udendo tale una
sera imbrodolare di lodi il dalmatino, saltò su a dire «l’è ora de finilla con
sto Tommaseo, ch’el gha on pè in sagrestia e vun in casin». Tommaseo, già attempato,
entrando nell’usato bordello, chiedeva alla fantesca «c’è la candela?» Poichè
il serafico poetuccio, l’autore di tanti libri di pedagogia, per eccitarsi al sagrificio
venereo avea bisogno di una candela di sego nell’ano. E Tommaseo chiamava poi
le mammelle «le ali dell’uccello». O quest’altro
aneddoto su Vittorio Emanuele II: 4595. Vittorio Emanuele fu uno dei più illustri chiavatori
contemporanei. Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un
milione e mezzo all'anno mentre nella rubrica cibo non più di 600 lire al mese.
A volte di notte, svegliavasi di soprasalto, chiamava l’ajutante di servizio,
gridando «una fumna, una fumna!» – e l’ajutante dovea girare i casini della
città finchè ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a
S. M. La tassa era di Lire 100 – ad ogni donna però, che aveva rapporti con lui,
dava un contrassegno, perchè, volendo, si ripresentasse. Possedeva un membro
virile così grosso e lungo che squarciava le donne più larghe. Con lui molte
puttane riprovarono gli spasimi dello sverginamento. Il suo dottore di Corte
avea un gran da fare a riaccomodare uteri spostati. Una notte una
signora che aveva ambito all’onore di giacere col re, nel lavarsi e nel cercare
di torsi, dopo il coito, la tutelare spugnetta (chè S. M. di solito ingravidava)
non se la trovò più. Spaventata, si diede a piangere, e ignorante di anatomia,
disse al Re che la spugnetta le era entrata nel ventre. La Maestà Sua –
ignorante e spaventata del pari – mandò tosto la signora dal suo medico Bruno
[Lorenzo (1821-1900)], col seguente testuale biglietto «Caro dottore. Mi è
successo un impreveduto avvenimento. La donna vi dirà cos’è. Vostro Vittorio» –
E naturalmente il dottore – fra il sonno e le risa – ripescò con molta facilità
la spugnetta. – Quel Giove terrestre, quando coitava, ruggiva come un leone.
Amava che le donne gli si presentassero nude con scarpettine e calzette; e fumando
sigari avana si divertiva a contemplarle, mentre gli ballavano intorno. Ma ad
un tratto lo pigliava l’estro venereo, e le sfondava tutte – Una sera poi scrisse
al naturalista Filippi un biglietto così concepito «Vi prego di mandarmi
stasera nel mio boudoir un leone impagliato». E il Leone viaggiò quella sera a
corte in una carrozza reale, destinato a chissà quali misteri. – Vittorio amava
personalmente l’oratore Brofferio [Angelo (1802-1866), poeta, drammaturgo e
politoco], altro gran chiavatore, cui domandava e quante volte facesse e come
ecc. con quell’interesse con cui stava al corrente delle sorti d’Italia –
Brofferio gli faceva poi da araldo e pacificatore colle nuove e vecchie amorose
– Uno de’ sintomi della sua prossima fine, egli lo sentì pochi giorni prima di
porsi a letto, quando disse in piemontese a Bruno «sa, dottore – non mi tira
più; brutto segno» – Nelle sue gite di caccia a Valsavaranche era seguito da un
harem di donne. – Amava sopratutte la Rosina Vercellana (poi contessa di
Mirafiori) e ai figli di lei diceva: «Umberto e Amedeo sono i figli della
nazione; voi, i miei». L’edizione
integrale delle Note azzurre, curata da Dante Isella, con un saggio di
Niccolò Reverdini, da cui sono tratti gli “scherzi” che qui si pubblicano, è uscita
da Adelphi nel 2010. Il
titolo del testo di Dossi è redazionale. la redazione Il testo di Carlo Dossi è apparso sul n. 32, 2024 della rivista "Nuova Tèchne". ____________________________ Home page Archivio di Nuova Tèchne |