LA LETTERATURA E IL GIOCO
DELL’ATTIMO FUGGENTE
VIAGGIO TRA LE RIVISTE: “TECHNE”,
EDITA DA CAMPANOTTO,
PROPONE GLI AUTORI DELL’OULIPO.
IL CASO DI AUGUSTO BLOTTO
di
Marco Conti
«Chi non sa fissarsi sulla soglia dell'attimo, dimenticando
tutto il passato, non saprà mai che cosa sia la felicità»:
così scriveva Friedrich Nietzsche nelle pagine di "Nascita della
tragedia" volendo affermare lo "spirito libero" che spende la sua vita
non credendo più ai rigori della ragione e tantomeno della metafisica.
L’attimo dunque, il divertimento, se, come suggerisce Eraclito, il corso
del mondo sembra nascere dal gioco di un fanciullo che muove, qui e là,
a caso pedine e pezzi.
La letteratura, da sempre tutt’altro che avara di piaceri ludici,
rinvigorì questa nozione nel Novecento delle avanguardie; il surrealismo
gli conferì uno statuto estetico trasgressivo, il lettrismo se ne
appropriò implicitamente chiamando in causa una sorta di polisemia
delle arti ed infine, gli anni Sessanta, consegnarono all’internazionale
delle lettere l’Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle).
Tre esperienze che continuano soprattutto in Francia, attraverso opere,
mostre, riviste. In Italia si fa strada invece, numero dopo numero, quasi
alla macchia come tutte le riviste letterarie, Tèchne, editata
da Campanotto e diretta da Paolo Albani. Basta scorrerne qualche numero
per imbattersi negli epigrammi di Max Aub («A forza di punti a capo
morì dissanguato », «Aveva il piè di pagina piatto»
leggo nel numero 15 del 2005), in un saggio di Perec che racconta per l’appunto
l’Oulipo, o nella riscrittura di Pascoli, ovvero “I Canti di Castellaccio”
proposti da Luca Chiti con aperture fulminanti come: «Siedono su
la porca assai contenti». Il guizzo ludico arriva, come l’invenzione
letteraria più severa, da uno scarto rispetto alla norma del codice.
Due le direttrici: la rivisitazione di un passato fastoso (da Perec a Huidobro
a Boris Vian) e la proposizione di un’attualità che si avvale di
tutti i linguaggi, li interseca, ne saggia la duttilità: così
si evince per esempio dagli editoriali che si affidano a una rappresentazione
grafica, o dalle otto divertite lapidi di Gianni Rodari scritte con un
profluvio di allitterazioni, o - ancora dagli aforismi dello stesso Albani
che inventa sulla falsariga del nonsense il messaggio pubblicitario:
“Scarpe diem, per restare al passo con i tempi”. Del resto dice bene Queneau,
la letteratura è «attività soggetta a parole».
Su questi versanti, la critica ha parlato spesso di “sperimentalismo”.
Ma sarebbe bene porre, nel merito, uno dei punti a capo di cui dice con
eloquenza Max Aub. Lo sperimentalismo novecentesco si propose in una tensione
di ricerca, per lo più generazionale, mentre ne prescinde volentieri
quel mondo letterario, di cui “Tèchne” replica diversi tratti, che
visita le referenzialità del segno e, ancora di più, ne prescinde
il divertimento letterario con il suo corollario di meraviglie, indovinelli,
incantamenti: proprio come quelli che scaturivano da quei narratori che,
nel mondo della Kalevala finnica, accompagnavano le parole attraverso il
ritmico dondolio dei corpi.
Sulla soglia della reinvenzione dei codici c’è, tuttavia,
anche uno spazio illimitato per la tradizione lirica novecentesca. La rivista
ne ha dato conto in diverse occasioni. Per esempio con la pubblicazione
di un ventaglio di poesie di Augusto Blotto, torinese di origini biellesi,
autore di un’opera poetica monumentale ma poco conosciuto se non tra gli
addetti ai lavori, come è accaduto per il caso di Lorenzo Calogero
o, in anni più recenti, per Emilio Villa. Già Umberto Eco
osservò che la supposta gratuità di quest’opera (25 volumi)
deve confrontarsi invece con l’invenzione di un suo codice letterario.
In Blotto si definisce un percorso in cui l’accostamento straniante avviene
anziché nel breve giro dell’immagine in quella, complessa, del “discorso”:
«Due mansuetudini congiunte al rozzo/dolore; le due stanghe. Poi
cartone/ traballa distante alla calata/grigioazzurra, di rondini, catrame
traverso (...)».
La Nuova Provincia di Biella, 14 aprile 2007, p. 21.
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