Renzo Butazzi
POESIE PER BAMBINI Il pero fatato Sul pero, davvero, ho visto e sentito, di notte, le pentole rotte suonare e ballare. Lo giuro davvero, facendo col dito crocetto sul petto. Le fate, di sotto dal pero, avevano cotto, lo giuro davvero, un grosso risotto di luce lunare e mirtilli per farlo gustare al Re degli Spilli. Lo giuro davvero: ho scorto il Re degli Spilli venire nell’orto, andar sotto il pero a farsi una grande pappata di luna impastata ai mirtilli. Mistero, mistero davvero. Quel pero mi dà da pensare… Magari lo faccio tagliare. La formica Sono l'Enrica, brava formica. Lavoro sempre, senza riposo. Quel che guadagno metto da parte per esser ricca quando mi sposo. Non gioco a carte, non vado al mare, né mai a ballare. Non rido mai, neppure canto, più m'affatico, più son contenta. Son diligente, saggia, severa. Unico lusso: far la polenta e massaggiarmi i piedi la sera. Un desiderio? Uno soltanto: che la cicala, quella sfacciata, venga strozzata. (Nella versione politically correct è «sia imbavagliata») La cicala Son'Elisabetta, la cicaletta. Canto di qui, canto di là col trallallera e col trallallà... Come soprano o come contralto, sul ramo più alto, su quello più basso, più sento caldo, più me la spasso. Canto in francese, in milanese, in turco, cinese e giapponese. Canto soltanto e non lavoro mai, canto e dimentico i guai. Canto più forte del grillo. Fumo tabacco e bevo vino, porto le scarpe col tacco a spillo e me la rido del formichino! La mosca Sono la mosca Fifì, volo per qui e per lì. Ho tante sorelline, verdi, nere, grigioline, moleste e assai zozzine. C’è il tafàno, la mosca cavallina e quella dell’olivo, più piccina. C’è la mosca cinese e giapponese E c’è, credete a me, anche la mosca tzè tzè! C’è quella scandinava e polacca E insieme al moscerino c’è il moscone. Ma tutte hanno in comune una passione: van pazze per la cacca! Gedeone il calabrone Son Gedeone, il calabrone. Sono un cuor d’oro: casa, lavoro, un po’ di miele per colazione. Ho un pungiglione quasi d’acciaio, quando l’adopro succede un guaio. Però non pungo senza motivo. Anche se ronzo, niente paura, non son cattivo! Indaffarato continuamente sto sempre fuori in mezzo ai fiori, non m’interesso dell’altra gente. Son riservato, però m’arrabbio se provocato E non sopporto, mondo birbone, la confusione. Ci son persone che quando ronzo saltan di qui, saltan di là. Gridano «Attenti! C’è quello str… Sicuramente ci pungerà!» Tutte agitate tiran manate, sbattono l’aria con il cappello, menano colpi con un giornale, strillano «via!», chiamano il babbo, la mamma, la zia, parlano male, fanno un macello. Loro non sanno che un calabrone non può soffrire la confusione e sa che basta un colpo leggero perché finisca nel cimitero. Perciò, veloce come saetta, gli faccio intorno la piroetta, poi mi sprofondo nella picchiata e li trafiggo con la stoccata! Per esser certo del risultato Il pungiglione l’ho avvelenato. |