Torquato e Titina Gazzilloro
POESIE a cura di Renzo Butazzi [Per una nota critica sulla poesia dei fratelli Gazzilloro si rimanda al testo di Enzo Marzo] I piccoli Titina e Torquato Gazzilloro, 1855 circa Torquato Gazzilloro La minestrina La minestrina la mangio prono. È un dono, è divina. In lei ho fiducia quando non brucia. Subdola, però, è la grandinino. Ovunque s’insinua, quasi mi soffocò. Visioni Ogni giorno, nell’orto vedo un morto che mi guarda storto e nel giardino un cadaverino mi fa l’occhiolino mentre una salma m’osserva calma in mezzo ai finocchi. Chi lascia in giro i defunti senza dargli neppure due punti sugli occhi? Perdonatemi babbo Fanciullo scriteriato e certo ingordo, ancor me ne sconvolgo nel ricordo, da quelle noccioline fui tentato: m’indussero a mancare e ho mancato. Oh, come ancor rammento il peso forte e giusto del vostro piè robusto, l’angoscia di mammina, il riso di Titina nel vasto appartamento. Deh, padre mio v’imploro: vogliate perdonare il figlio scriteriato che contro voi ha mancato. Potrò mai riparare oggi che son pentito? Basta muoviate un dito ed io l’avrò capito. Idillio agreste Alle sette di mattina s’alza l’Ape Regina, vaga sull’aia, sorvola la risaia. Riposa un colonnello dei dragoni sotto l’ombrello ma senza pantaloni, e dietro un fico l’Alvara soffia in bocca a Lodovico. Suonano i tafani la fanfara ed una vacca all’ombra d’un bemolle fa la cacca. Sofferenza agreste Giammai saprete lo strazio del masturzio quando, senza prepuzio, un frate orina sull’amata rosellina. Dolce morte Salta la cavalletta di Malta sempre più alta! Ma cade nella panna montata e muore affogata. Lutto d’amore È carnevale. Lama fatale affonda mentre bionda la dama canta al Politeama. Oh! Lutto di chi volle mangiarlo tutto. Discese Scendono dalla valle i valligiani, le mosche silenti dai cavalli aulenti e i sette nani dal grembo di Luisa. Scende su Busto l’acqua da un nembo scuro, e il nonno mio robusto scende dal muro. Fine d’un amore Piangendo la bionda con la boccuccia tonda grida all’innamorato: Renato, Renato! T’ho visto di nascosto bere la vaselina. Non brami dunque più la tua bambina? Ira La palla rosa d’una sposa rotolando scende e nessun la prende. Passa un gorilla urlando: Ma la spilla quando me la ridate? E la prende a pedate. Borbotta il borlotto prolisso sul fuoco di brace, mentre il fagiolo dall’occhio mi guarda fisso. Ma tace. Ha più diritto l’uovo fritto di sentirsi sfortunato oppure l’uovo affogato? Angoscia Da sempre m’angoscia il silenzio dell’uovo. Ancor oggi l’ho interrogato di nuovo, prima della polenta. Che fu, che ti tormenta? Perché sei mesto, gli ho chiesto, perché sei sbattuto? Ma lui ha taciuto. Dubbio L’uovo alla coque mi guarda al mattino dal suo sportellino, senza dir niente. Tra l’una e le due, umido e rosso, sempre silente, mi segue commosso con l’occhio di bue. La sera è sbattuto, un po’ strapazzato. Ma resta silente anche se interrogato. Che l’uovo sia muto? Silenzio di lingua Enigmatica resta la lingua salmistrata. Più volte l’ho interrogata, nei giorni feriali e di festa. Talora piano, talora forte. Talora a pranzo con la mia signora che l’aveva in menù allora, ma ora non ce l’ha più. Un anno, per l’intero gennaio, le posi domande dal salumiere quasi tutte le sere. Finché egli s’inquietò l’uno febbraio e mi scacciò. Mai ha risposto, la lingua salmistrata. Sarà perché sta sulle sue o non capisce la nostra parlata, essendo di bue? Umbilicus meus Ogni tanto mi guardo l’ombelico. Oh, come sei tondo, gli dico. Cos’è questo mistero profondo che da te si diffonde? Ei non risponde. Invan molcisco, prego, imploro quel chiuso foro di darmi pace. Ei tace. Non feci parlar le feci Cumulo d’escrementi ho contemplato. Aulente, tiepido ancora e di colore ambrato. Parea che respirasse e parlar mi volesse. Donde venisti? Da qual riposto albergo te n’uscisti? ho domandato, da qual ano? Tre giorni ho atteso invano, benché bagnato. Ma lui non ha parlato e se n’è andato. Attraversando Chissà quanti tramvieri quante volte m’hanno visto attraversare i binEri pensieroso, e non hanno detto niente e mai un sorrOso. Per chi suona la campana Per chi suona la campana a pestoni il tranviere blé mentre ch’io passo cogitabondo per i binari del mondo? Anch’egli per me? Mi coglioni! O baco da seta che per il tè sturbasti la tua saliva così produttiva, perché non prendi il karkadè? Deh, dillo al poeta quando sarà da te, o baco da seta! Titina
Gazzilloro
Dolcezze termali Il bruno Renato, a Salsomaggiore, m’offriva un sorbetto al posto d’un fiore. Chissà che a Sirmione un biondo Roberto non m’offra il torrone? Le posate di maman Ricorda – e maman alzò il dito – ancorché grande sia l’appetito non mangerai le cozze con i cucchiaini di nozze! Viva l’uovo tondo e ovale, buono a Pasqua e Natale, per i Santi e carnevale. Che sia giallo oppure bianco di mangiarlo non mi stanco, che sia bianco oppure giallo l’uovo è buono senza fallo. Un cocco oggi e due domani fan felice Biancaneve e più forti i sette nani. Noi tutti giacenti in corsia in attesa dell’agonia, cantiam, con le nostre Suore, un grazie a nostro Signore. Grazie o Signore adorato, che del morbo facesti strumento per darmi sì grande contento. Grazie o Re del Creato. Ti son riconoscente e grato/a giacché il duolo che m’hai donato mi rende mondo/a d’ogni peccato. Grazie o Signore grazie di farmi tanto soffrire prima di morire. Pianto nazionale Singhiozza di frequente l'italico eminente. Gemono deputati, ministri e magistrati, e più d'un segretario di partito ha il ciglio inumidito. Pianse in Senato il senator Capozza per la grave sconfitta d'Aragozza; e nel chiudere un congresso controverso, sapendo d'aver perso, l'esimio segretario Tagliacozzo fe' un singhiozzo. Il grande presidente Trafelone, dovendo lasciar la Cassazione per superati limiti d'età, a novant'anni appena pianse di pena. L'emerito accademico del Regno, il professor Aristide Ficozzi, commemorando un defunto magistrato, da vivo lungamente detestato e soprannominato "il fregno ", scoppiò in singhiozzi. Alberto Dionigi Barbanera generale delle guardie di frontiera, arringando la truppa radunata, esaltava ogni volta il patrio suolo, dal transalpino ostile un dì violato. E ogni volta piangeva per il duolo. Il rigido Prefetto di Messina, appuntando la croce dell'onore sul petto a un assessore che avea tratto dal mare una bambina, s'asciugò gli occhi con la mantellina. È forse codardia? Il popol si domanda. È malattia, vecchiezza, è la lor debolezza che comanda? È ipocrisia? Giammai, suvvia! Di tal pensiero odioso ti vergogna! Piangon di commozione, di sdegno, di successo, talor di delusione. È un pianto sano, o popolo italiano. È di viril passione. Sgorga dai loro cuor l'amar per i fratelli e la Nazione! Fonte: Renzo Butazzi, Il silenzio dell’uovo, Sagoma Editore, Vimercate (MB), 2011. Home page Indice Butazzi e i Gazzilloro |