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Vittoria Biagini
CRIMINI D’AUTORE


I Crímenes ejemplares - questo il nome originale del testo - nascono nel 1957 in Messico, terra di adozione di Max Aub, autore esiliato dalla Spagna a causa del regime franchista. La prima traduzione italiana apparve sulla rivista letteraria il Caffè nel 1969, ad opera dell’illustre ispanista Dario Puccini. Ma solo dal 1981 i Delitti esemplari si possono trovare negli scaffali delle librerie italiane, in un’edizione pubblicata da Sellerio, tradotta e curata da Lucrezia Panunzio Cipriani. 
In Messico uscì una seconda edizione del libro nel 1968, in una versione ampliata, mentre in Spagna - se escludiamo un breve assaggio di appena una ventina di delitti pubblicati nel 1968 da una piccola casa editrice - l’edizione integrale dei Crímenes ejemplares uscirà soltanto nel 1972. Oltre che in Italia, i Crímenes ejemplares vennero pubblicati anche in Francia nel 1981, dove lo stesso anno vinsero il “Grand Prix de l’Humour Noir”, nel 1982 in Portogallo e dieci anni più tardi anche in Germania. Se facciamo attenzione a queste date, la traduzione di Dario Puccini pubblicata su il Caffè nel 1969 risulta essere la prima traduzione quasi integrale del testo di Aub (degli 87 delitti che compongono l’edizione originale dei Crímenes ejemplares, Puccini ne tralasciò nove). 
Dario Puccini è stato un grande e attento studioso della letteratura spagnola e ispanoamericana, particolarmente attratto dalla poesia di autori d’eccezione, quali Miguel Hernández, Vicente Aleixandre, Rafael Alberti. Tra gli scrittori che amò ricordo Juan Rulfo, Gabriel García Márquez, Octavio Paz, Horacio Quiroga, e tra questi anche Max Aub. 
Oltre alla serie di delitti, Puccini tradusse anche altri testi di Aub per l’editoria italiana: i tre atti unici L’impareggiabile malfidato, Il ritorno e I morti, riuniti in un solo volume pubblicato da Einaudi nel 1965 (il primo di questi fu messo in scena a Roma negli anni ’60, alla presenza dello stesso Aub e di Rafael Alberti); la traduzione di uno dei più importanti testi teatrali scritti da Aub, intitolato San Juan (Einaudi, 1974). Del teatro aubiano Puccini tradusse anche El Cerco per una trasmissione radiofonica di Radio Rai. Infine ricordo la traduzione del grosso volume della Storia della letteratura spagnola dalle origini ai giorni nostri pubblicato da Laterza (1972), opera in cui Max Aub dette finalmente voce ai nomi degli scrittori in esilio a causa del regime franchista (tra i quali incluse anche il proprio). Ma Dario Puccini non fu per Aub soltanto il suo principale traduttore in Italia: fu proprio grazie a lui se Aub conobbe non solo alcuni importanti editori italiani, come Mondadori, Einaudi, Laterza, ma anche lo stesso direttore della rivista il Caffè, Giambattista Vicari. Ma se per Aub fu proprio Puccini ad essere il “principale mezzo di diffusione della sua opera in Italia”, come il critico si è ironicamente definito, a sua volta fu proprio grazie a Max Aub se Puccini pubblicò nel 1967 presso una casa editrice messicana forse il suo lavoro più importante, il Romancero della Resistenza Spagnola. Inoltre, in qualità di direttore dei servizi radio-televisivi dell’Università Autonoma del Messico, Max Aub invitò il suo collega e amico italiano a realizzare alcuni programmi radiofonici. Il loro, infatti, non fu soltanto un rapporto professionale: tra i due nacque anche una stretta amicizia, “un’amicizia fondata sulla passione umana e sulla mutua partecipazione alle cose del mondo”, secondo le parole dello stesso Puccini.
Come si può dedurre dal nome, Max Aub (1903-1972) non era spagnolo di nascita, ma visse in Spagna fin da quando era bambino e della Spagna aveva fatto la sua patria di elezione. Nato a Parigi da madre francese e padre tedesco, Max Aub in realtà si considerava spagnolo a tutti gli effetti: tutto ciò che scrisse, perfino le pagine di diario, lo scrisse in castigliano. Con l’ascesa di Franco dovette scappare dalla sua terra, Valencia, e rifugiarsi in Francia. Ma qui non ebbe molta fortuna: nel 1940 a causa di una denuncia anonima che lo accusava di essere un comunista venne arrestato e rinchiuso nel campo di concentramento di Vernet e successivamente in quello di Djelfa, in Algeria. Nel 1942, liberato grazie ad alcune pressioni esterne, riuscì a raggiungere il Messico dove rimase fino alla sua morte, nel 1972. Aub fu autore di numerosi testi di teatro – purtroppo raramente rappresentati - e scrittore di romanzi. Fra questi esiste un intero ciclo, intitolato El Laberinto mágico, dedicato all’esperienza della Guerra Civile in Spagna. Sradicato dalla sua terra - che rivedrà soltanto di sfuggita poco prima di morire - Aub condivise con molti altri scrittori e artisti spagnoli il destino dell’esilio permanente, durato per lui circa trent’anni.
Della condizione dell’esiliato e dell’emarginato risentono molti dei personaggi che popolano gli scritti di Aub, che spesso sono individui senza patria, costretti alla fuga o a subire gravi ingiustizie. Ma la sua opera abbonda anche di un forte umorismo, di un particolare gusto per il gioco puramente letterario, come nel caso di Juego de cartas o dei Signos de Ortografía. E con la letteratura Aub ci ha giocato fino al punto estremo del “falso” letterario: è il caso, ad esempio, della biografia di un pittore mai esistito, Jusep Torres Campalans (anche questo pubblicato in Italia da Sellerio), un libro proposto come una vera relazione biografica di un artista dimenticato, che, per merito di Aub, scopriamo essere addirittura un anticipatore di Picasso e amico dei più grandi pittori della Parigi dei primi anni del secolo. Vennero perfino organizzate due esposizioni di quadri dipinti dal presunto Campalans (che in realtà sono frutto dell’ingegno pittorico di Max Aub). L’inganno fu talmente ben architettato che non mancarono critici che assicurarono di aver conosciuto personalmente questo pittore ingiustamente escluso dalla storia dell’arte del XX secolo.
Talvolta però la sua vena ironica si è tinta di sfumature “macabre”, dando vita a questi geniali delitti, veri esemplari di umorismo nero. Ognuno di noi sa bene quanto il delitto attiri la nostra curiosità: le notizie di cronaca nera, tanto più sono crudeli e orribili, tanto più occupano spazio nell’informazione cartacea e televisiva. Negli ultimi tempi in particolare proliferano programmi in tv dedicati interamente a storie di omicidi e dei loro protagonisti. I Delitti esemplari sono lontani dallo splatter della nostra epoca: non c’è una goccia di sangue, né budella al sole... Aub evita scrupolosamente di addentrarsi nella malattia, nella perversione, e ci presenta con grande maestria un campionario di omicidi proposti come modelli “imitabili”. Chiunque può leggere, già nel titolo, l’intenzione divertita dell’autore, che tra l’altro si dichiara convinto che questo libro sia “un omaggio alla fratellanza e alla filantropia”. I delitti descritti da Aub stimolano nel lettore il sorriso anziché provocare un turbamento. Questo perché l’esercizio inoffensivo della violenza permette all’autore ed al lettore di abbandonarsi a un gioco liberatorio, contravvenendo così ad un codice morale stabilito. Max Aub, se pur attraverso il gioco, ci mette però di fronte alla necessità di guardare da vicino un diffuso atteggiamento che riguarda tutti gli uomini, un’ingiustificata idiosincrasia che ciascuno di noi sperimenta nel quotidiano rapporto con gli altri. “Forse la maledizione del nostro tempo – afferma Calvino nella sua recensione dei Delitti esemplari - non è l’irresistibilità della violenza, ma tutto il contrario: è la pretesa che la razionalità possa escludere completamente le spinte omicide che sono in tutti noi, convinzione da cui deriva il corollario abominevole che la razionalità possa anche accettarle e adoperarle.” («Piccoli assassini, sapienti e giocolieri», La Repubblica, 15 agosto 1981). Dietro l’eccessiva banalità di questi omicidi è infatti rintracciabile una verità che ogni giorno inonda i quotidiani di tutto il mondo: dal gesto irrazionale di chi spara sulla folla, alla furia omicida del fondamentalista che uccide in nome di Dio. 
Ma alla radice di una letteratura così eterogenea e indomabile, che spesso fonde insieme verità storica e finzione attraverso l’ironia, c’è in realtà un forte desiderio di essere libero: quelle catene che durante la vita costrinsero Aub a subire gravi frustrazioni, vengono spezzate nelle sue creazioni letterarie, dove mai rinunciò a esprimere le sue più profonde convinzioni. In fin dei conti, come ci ricorda lo stesso Max Aub, “non ho perso la terra che più amavo per tacere ciò che ritengo giusto.”


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