pagina della Nuova Tèchne di Paolo Albani

Charles Baudelaire
NOTE SULLA VITA E L'OPERA
DI E. A. POE

     
    Recentemente venne condotto davanti ai nostri tribunali un disgraziato che aveva la fronte marcata con un insolito e singolare tatuaggio:
Senza fortuna! Aveva così sopra gli occhi l'etichetta della propria esistenza, come un libro il proprio titolo, e il processo dimostrò che la bizzarra scritta era spietatamente vera. Nella storia della letteratura si trovano analoghi destini, vere e proprie dannazioni, ‒ uomini che portano la parola scarogna scritta in caratteri misteriosi tra le rughe sinuose della fronte. L'angelo cieco dell'espiazione si è impossessato di loro e li fustiga con tutte le sue forze ad edificazione degli altri. Inutilmente la loro esistenza manifesta talento, virtù, amabilità; la Società riserba loro un particolare anatema, e li accusa delle infermità che la sua stessa persecuzione ha loro attribuito. ‒ Che cosa non ha tentato Hoffmann per placare il destino, e Balzac per implorare la fortuna? ‒ Esiste allora una diabolica Provvidenza che prepara l'infelicità dalla culla, che getta premeditatamente esseri angelici, ricchi d'intelligenza, in ambienti ostili, come martiri nel circo? Vi sono dunque delle anime sacre, votate all'altare, condannate a camminare verso la gloria e la morte, calpestando le proprie macerie? L'incubo delle Tenebre stringerà in una morsa eterna queste anime elette? Inutilmente si dibattono, inutilmente si addentrano al mondo, ai suoi fini ultimi, agli stratagemmi; perfezioneranno la loro prudenza, sprangheranno tutte le uscite, barricheranno le finestre contro i proiettili del caso; ma il Diavolo entrerà dalla serratura; una perfetta virtù sarà il loro tallone d'Achille, una qualità superiore il germe della loro dannazione.

 

L'aquila per spezzarla dall'alto delle stelle

Sulla lor fronte scoperta cadere farà la tartaruga

Perché essi devono inevitabilmente perire.

 

       Il loro destino è scritto in tutta la loro persona, brilla in un lampo sinistro dello sguardo, in un gesto, circola nelle loro arterie con ogni globulo di sangue.

        Un celebre scrittore della nostra epoca [allusione a Stello (1832) di Alfred de Vigny (1797-1863)] ha scritto un libro per dimostrare che il poeta non può inserirsi né in una società democratica né in una aristocratica, nemmeno in una repubblica né in una monarchia assoluta o moderata. Chi ha saputo dargli una risposta che non ammettesse repliche? Oggi io aggiungo un'altra postilla in favore della sua tesi, un altro santo al martirologio: devo scrivere la storia di uno di questi illustri infelici, troppo ricco di poesia e di passionalità, che come molti altri è sceso in questo basso mondo a compiere il duro tirocinio della genialità tra gli esseri inferiori.

      Triste tragedia la vita di Edgar Poe. La sua morte un orribile finale, reso più orribile dalla volgarità. Da tutti i documenti da me letti, ho tratto la convinzione che gli Stati Uniti furono per Poe soltanto una vasta prigione: egli la percorreva con l'agitazione febbrile di un essere nato per respirare in un mondo più profumato di quell'immensa barbarie illuminata a gas. La sua vita interiore di poeta o anche di ubriacone, era un continuo tentativo di sfuggire l'influenza di questa atmosfera irritante. Dittatura spietata quella dell'opinione pubblica nelle società democratiche; non chiedetele né carità, né indulgenza, né alcuna elasticità nell'applicare le sue leggi ai molteplici e complessi casi della vita morale. Si direbbe che dal sacrilego amore per la libertà è nata una nuova tirannide, quella degli animali, la zoocrazia, che con la sua ferocia, la sua insensibilità, assomiglia all'idolo di Jaggernaut. Un biografo ‒ un brav'uomo pieno di buone intenzioni ‒ col tono più serio dirà che se Poe avesse voluto arginare il suo genio e applicare le sue facoltà creative in modo più consono alla cultura americana, sarebbe diventato un autore da cassetta, a money making author; un altro ‒ questo invece cinico naïf ‒ che per quanto sia acuto il genio di Poe, sarebbe stato meglio per lui avere del talento, perché di più facile consumo del genio. Un altro, direttore di giornali e riviste, amico del poeta, confessa che era difficile dargli del lavoro perché il suo stile era troppo al di sopra della media. Che puzza di negozio! come diceva Joseph de Maistre.

       Alcuni sono andati oltre e, associando il più rozzo giudizio sul suo genio alla ferocia dell'ipocrisia borghese, hanno fatto a gara nell'insultarlo; e dopo la sua improvvisa scomparsa hanno duramente attaccato il cadavere; specialmente Rufus Griswold [il reverendo Rufus Wilmot Griswold (1812-1857), giornalista, poeta e critico letterario americano, noto soprattutto per la sua ostilità verso Poe] che, per citare l'espressione vendicativa di George Graham, commise un'immortale infamia. Poe, forse provando il sinistro presentimento di una fine improvvisa, aveva incaricato Griswold e Willis [Nathaniel Parker Willis (1806-1867), poeta e giornalista che ha lavorato con diversi scrittori americani tra cui Poe e Henry Wadsworth Longfellow] di riordinare la sua opera, di scrivere la sua biografia e di riabilitare la sua memoria. E il pedagogo-vampiro ha meticolosamente diffamato l'amico in un lungo saggio, scialbo e astioso, proprio nell'edizione postuma delle sue opere. Non esiste dunque in America una legge che impedisce ai cani di entrare nei cimiteri? Willis invece ha dimostrato che la bontà e la dignità camminano sempre di pari passo con l'intelligenza, e che la carità verso i nostri fratelli, che è un dovere morale, era anche una regola di buon gusto.

        Provate a parlare di Poe con un americano, ne ammetterà forse la genialità e si mostrerà persino fiero di lui; ma con un tono sardonico di superiorità, che denuncia l'uomo d'affari, vi parlerà della vita disordinata del poeta, del suo fiato da alcoolizzato che avrebbe preso fuoco con una fiammella di candela, delle abitudini di vagabondo; vi dirà che era un eteroclito alla deriva, un pianeta fuori dall'orbita, sempre in ballo tra Baltimora e New York, tra New York e Filadelfia, tra Filadelfia e Boston, tra Boston e Baltimora, tra Baltimora e Richmond. E se per caso, commossi dal preludio di una storia penosa, fate capire che forse l'individuo non è il solo responsabile e che deve essere difficile pensare e scrivere tranquillamente in un paese dove vi sono migliaia di sovrani, in un paese senza una vera e propria capitale e senza un'aristocrazia, allora vedrete i suoi occhi dilatarsi e scagliare lampi, mentre la bava del patriottismo ferito gli sale alle labbra, e per bocca sua l'America tutta insultare la vecchia madre Europa e la filosofia del passato.

 

 

Fonte: Charles Baudelaire, Note sulla vita e l'opera di E. A. Poe, in Edgar A. Poe, I racconti, trad. di Giuseppe Sardelli, il saggio di Baudelaire è tradotto da Stefano Jacini, Feltrinelli, Milano, 19795, pp. 5-7.

          

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Il testo è compreso nel n. 26, 2017 della rivista Nuova Tèchne.
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