DAGHELO MOLLO Pare che in un antico film, dimenticato o forse da dimenticare, un industriale milanese in visita d'affari a New York costringesse il suo interprete di fiducia a tradurre in inglese per il beneficio dei businessmen transatlantici il distico milanese: Alegher! Alegher! El büs del cü l'è negher! L'onesta traduzione letterale del coscienzioso impiegato biglotta ("Be gay, be gay, / The arsehole is black") non riscosse molto successo in quell'occasione. Una più disonesta trascrizione avrebbe meglio convogliato la metafisica ghignata dell' originale: Be merry! Be jolly! The hole of the arse is dark and holy! dove ciò che si perde nello
scadimento dalla rima (Alegher / Negher) all'assonanza (jolly / holy)
e nell'iperaggettivazione dello sfintere è parzialmente redento dalla morsa
significante dell'allitterazione (hole / holy). Questo primo sondaggio nell'area delle traduzioni di filastrocche oscene apre nuove prospettive critiche e filologiche per possibili oltraggiosi esperimenti. Per esempio come tradurre l'altro grande distico italo-milanese: Viva la fica, il cielo sereno, El büs del cü e l'arcobaleno A
questo compito stravagante abbiamo dedicato lunghi mesi di studio e di austera
ricerca con risultati, dobbiamo confessarlo, poco soddisfacenti. Una traduzione
letterale ("Long live the cunt, the clear sky, / The arsehole and the
rainbow") è impossibile per ragioni ritmiche e per inconciliabilità
rimatica. Bisogna quindi ricorrere alla ridondanza degli aggettivi che
distrugge la possente onticità dell'originale dovuto all'isolamento semantico
delle quattro espressioni. La rosa dei venti del creato che copre il mondo
della natura e il mondo del sesso può solo sussistere incontaminato da ogni
qualificazione aggettivale. Non resta quindi che spostare l'asse semantico del
distico sul versante della prassi, della specifica esperienzialità del vissuto,
in una metamorfosi dall'ontico al fenomenico, da ciò che è a ciò che avviene,
non insolita nelle metamorfosi translative da un idioma a un altro. Proposta: Long live the cunt of my sweetie pie, The green pastures, the blue sky! Long live the hole of her tender arse, The pretty rainbow, the soft grass ! Trascrizione felice, non priva di grazia, indovinata nel ritmo prosodico e nello stacco delle cesure. Eppure ... Eppure, messi a confronto, l'originale e la sua trascrizione anglica rivelano due stati del mondo oltre che due opposti atteggiamenti della scrittura. L'originale è elencativamente biblico e rivelatorio. La lista italo-rnilanese è sacrale: un rendiconto dei beni della terra. Là i beni, qua io, e intorno il mondo, o la comunità dei credenti. Perfino la legittima portatrice di tanta fica e di tanto sfintere è obliterata dalla volontà nomenclatoria del personaggio parlante il quale ha lo stesso candore nominalistico di Adamo quando dà il nome agli animali. "Questo è cane”, "Questo è caimano", diceva lui; "Questa è fica", "Questo è büs del cü", dice il nostro testo. L'alternanza di anatomico e di paesaggistico (fica / cielo / büs del cü / arcobaleno) impedisce il formarsi immaginativo o ideazionale di un essere umano che possa conglobare entrambi orifizi: la 'fica' è solo 'fica', 'fica' assoluta, bijou discreto che afferma perentoriamente l'essere 'fica' della 'fica'. Nessuna Venere Pandemia potrà impossessarsene e mettersela fra le gambe: codesta 'fica' non può avere locazione infra coscie mortali. La 'fica' è la 'fica' è la 'fica'. Se si passa dalla 'fica' alla 'cunt', tutto cambia. La determinazione crono-culturale passa dal biblico all'ellenistico; la tetralogia dell'universo diventa un pluralismo ottimisticamente espansivo; la parola perentoria diventa parola suasiva; il palcoscenico si riempie di personaggi qualificati dalla dolcezza della fica e dalla tenerezza del culo; il terreno diventa morbidamente ondulato, sinuoso, analogico con le curve adorate di quel certo culo e anagogico della femminilità; interviene un mondo di colori, onticamente superflui ma altamente operativi sul piano atmosferico e psicologico; i netti contorni delle erotiche cavità diventano sfumati in un processo di illeggiadrimento (prettification); la severa 'fica' diventa una 'cunt' quotidiana e domestica, quella che gentilmente tocchiamo nelle notturne rassicuranti esplorazioni della compagna di letto: una 'cunt' nostra e sua, significante, esuberante, confortante e comunicativa (la 'fica' era istrumento di informazione esistenziale, la 'cunt' è fonte di comunicazione pragmatica). Nell'originale il lucus ad non lucendum del büs del cü (si pensi alla cupezza delle ümlautiche 'Ü') veniva nettamente, drammaticamente contrastato dalla luce/luce, dal tutto-luce dell'arcobaleno; in inglese il verde dell'erba e l'iride dell'arcobaleno penetrano nei recessi dei glutei, illuminando discretamente le non più infernali cavità. La traduzione brillante e riuscita si rivela come la più radicalmente infedele. Forse sarebbe più prudente accontentarsi di orifizi nostrani perché ognuno, alla fin fine, ha la 'fica' e il 'buco del culo' che si merita. Ma è difficile resistere alle titillanti lusinghe dell'ecumene: chi non ha sognato, nell'isolamento del proprio natio borgo selvaggio, una vulva cattolica, un translinguistico sfintere cosmopolita? P.S. Rimarrebbe da esperimentare su un altro stupendo testo milanese: Daghelo mollo, daghelo duro, Fagli tremare le chiappe del culo. Ma sarebbe vano. Persino la innata insensatezza della lingua madre di ogni nonsense, l'inglese, cede di fronte al delirio di quel "Daghelo mollo"! Forse solo l'ebraico della cabala potrebbe catturare il folle slancio verso l'irrazionale, verso l'assurdo, insito in questa proposta di una penetrazione impossibile, il floscio membro che rivoluziona e terremota l'assorto e deserto territorio delle chiappe. Questo testo di Almansi, uscito sul n. 1 di Tèchne del settembre 1986, è citato sul n. 51 (Anno XXIV, settembre 2013) di Cartevive,
rivista dell'Archivio Prezzolini a cura della Biblioteca cantonale di
Lugano. Il numero, intitolato "Una vita senza la dimensione comica
è, a mio avviso, invivibile", è dedicato alle carte del Fondo Guido Almansi.
Si riproducono qui di seguito due lettere di Almansi alla redazione
di Tèchne in data 8 gennaio e 22 aprile 1986: Home page Menu della rivista |